4. Il dolore come patologia neurologica/neuropsichiatrica
La percezione del dolore è un meccanismo critico dell’auto-difesa del corpo, permettendoci di interrompere il contatto con uno stimolo potenzialmente deteriorante.
Quando avvertiamo dolore in maniera cronica, spesso come conseguenza di una disfunzione nervosa o metabolica (per esempio nel caso del dolore neuropatico), è di fondamentale importanza trovare agenti in grado di targhetizzare le vie che lo producono.
Si stima che tra il 6.9% e il 10% della popolazione sviluppi una forma di dolore neuropatico, spesso come conseguenza di altre patologie (cancro, diabete etc) . Nonostante le cause della problematica siano molteplici, la conseguenza è simile: iper-eccitazione del sistema nervoso e allodinia (la sensazione di dolore evocata da stimoli non nocivi).
Queste due sintomatologie dolorose, l‘allodinia e l’iperalgesia, sono definite in medicina “disestesie” (pensate ad una vera e propria “allucinazione tattile” che deriva da lesioni sul midollo spinale) o “parestesie” (formicolii locali e ipersensibilità), e rappresentano i sintomi che maggiormente limitano la qualità di vita del paziente affetto da dolore cronico, in particolare da dolore neuropatico.
L’iperalgesia non è altro che una percezione amplificata ad uno stimolo doloroso.
In molti casi è possibile descrivere una iperalgesia primaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici in corrispondenza dell’area di lesione tissutale) ed una secondaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici nelle zone circostanti l’area di lesione).
Lo stesso vale per l’allodinia, che invece è definita come una percezione dolorosa in seguito ad uno stimolo innocuo.
L’allodinia è un sintomo altamente limitante, in quanto è riferito dai pazienti come una scarica elettrica o una sensazione “tipo aghi che penetrano nel corpo” che arriva all’improvviso.
A queste sintomatologie dolorose si aggiungono una serie di cambiamenti neuropsichiatrici che vengono definiti in medicina “comorbidità”. Tali comorbidità quali ansia, depressione, disfunzioni cognitive e perdita di memoria, rendono il dolore neuropatico una vera e propria patologia neurologica/neuropsichiatrica che ad oggi non ha un adeguato trattamento farmacologico.
5. Dolore neuropatico: da cosa è causato
Il dolore neuropatico è causato da un danno spesso irreversibile che colpisce il sistema di percezione del dolore e compare dopo una lesione del Sistema Nervoso Centrale (cervello e midollo spinale) o del Sistema Nervoso Periferico (radici nervose, plessi, nervi). Ciò comporta fenomeni di riarrangiamento della comunicazione dei neuroni (plasticità neuronale), che rende la percezione di stimolazioni innocue come dolorose.
I processi che sostengono il dolore neuropatico possono venire raggruppati in due grandi categorie:
1) La genesi ectopica di impulsi nocicettivi.
Il termine ectopico deriva dal greco έκ τοπος e significa letteralmente “fuori dal luogo”.
Viene attribuito ai potenziali d’azione che si generano direttamente nelle fibre nervose senza che avvenga l’attivazione della terminazione nervosa corrispondente (ciò si osserva ad esempio anche nell’epilessia).
In altre parole questi sono impulsi elettrici anomali generati da assoni o gangli.
2) L’ ipersensibilità dei neuroni nocicettivi centrali
A livello del corno posteriore, del talamo e della corteccia sensitiva sono stati identificati due tipi di neuroni nocicettivi (ovvero, cellule del cervello deputate alla percezione del dolore, dal latino “nocere“).
In condizioni di normalità, questi due tipi di neuroni possiedono comportamenti differenti e ben identificati:
- Il primo, tradotto dall’inglese neurone nocicettivo specifico, è connesso perifericamente solo con fibre dolorose e risponde solo a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi)
- Il secondo, tradotto dall’inglese neurone ad ampio spettro dinamico, risponde a stimoli di bassa intensità con basse frequenze di scarica e a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi) con elevate frequenze di scarica.
In seguito a danni periferici (nervosi e non), i neuroni ad ampio spettro dinamico possono subire una modificazione della loro funzione ed iniziare a scaricare frequenze marcatamente nocicettive anche in seguito a stimoli normalmente non nocivi o a stimoli normalmente solo debolmente nocivi.
6. Quando scegliere una terapia a base di cannabinoidi?
Il dolore cronico, in generale, e neuropatico nello specifico, rappresentano oggi il primo target terapeutico per i medicinali a base di cannabinoidi.
L’efficacia analgesica dei cannabinoidi non è paragonabile a quella generata dagli oppioidi. Ad oggi non esistono farmaci con un potere analgesico superiore agli oppioidi.
Tuttavia esistono diverse forme di dolore, incluso il dolore neuropatico di diversa natura o anche patologie ancora non ben definite da un punto di vista eziopatologico come la fibromialgia, in cui l’impiego di oppioidi ha scarsa efficacia.
Questo effetto paradosso è dovuto a molteplici fattori, molti dei quali non sono ancora ben identificati.
In queste patologie, di contro, i cannabinoidi hanno una buona efficacia terapeutica.
Una delle ragioni può essere attribuita al fatto che le scariche spontanee che portano alla sensazione di dolore sono state localizzate principalmente nelle fibre mieliniche afferenti di tipo A, ricche in recettori cannabinoidi, ma non di recettori oppioidi.
Studi clinici ancora non pubblicati riportano come la terapia a base di cannabinoidi generi una sorta di allontanamento del paziente dall’attesa del dolore. Tornando alla definizione che abbiamo dato di allodinia, una scarica elettrica improvvisa, capiamo che l’attesa di questo momento è determinante nella genesi di quelle comorbidità (ansia, depressione etc) che rendono nel loro insieme queste tipologie di dolore delle vere malattie.
I medicinali correntemente in uso per trattare il dolore sono ancora principalmente gli oppioidi, ma solo circa il 50% dei pazienti trova sollievo con tali cure, evidenziando come la clinica potrebbe beneficiare enormemente da medicinali orientati alla modulazione del tono cannabinoide.
Inoltre sembrerebbe che a livello sovraspinale esista un sinergismo tra i recettori oppioidi e cannabinoidi, indicando che l’analgesia da morfina può essere aumentata dai cannabinoidi.
L’utilizzo dei cannabinoidi riduce la necessità della morfina. Il THC è in grado di ridurre la dose minima efficace (ED50) della morfina del 55%, del metadone del 75% e della codeina del 96%.
2 Commenti
Salve sono una signora di 60 anni e ho problemi di dolori a causa di una grave scoliosi dorso lombare trattata con barra di Harington da più di 40 anni. Finalmente trovo sollievo con la cannabis terapeutica Fm2 in olio d’oliva. Poi lamentando problemi intestinali e inappetenza con perdita di peso notevole il dottore mi ha aggiunto la bedrolite per un po’ stavo mangiando un po’ ora sto di nuovo male tanto da avere un rifiuto al cibo e mi sento malissimo anche con la umore. Ho fatto esami per l intestino la colonscopia e il gastroenterologo mi ha detto che non ho niente solo intolleranza al lattosio. Spero che con i vostri studi mi potete aiutare sono disperata grazie.
Gentile Valenza,
grazie del messaggio. Per aiutare a stimolare l’appetito, è consigliabile interrompere bedrolite e sostituire con bedrobinol o altra varietà contenente THC.
Ci aggiorni sugli sviluppi