3. Riflessioni sul divario tra imprenditoria “per seme” e “per infiorescenza” di Cannabis
Le riflessioni dell’avvocato Nicomede Di Michele sulla cannabis per uso alimentare:
“Dopo il varo della legge 242 del 2016 il mondo della canapa viene interessato da un vero e proprio fenomeno tellurico. Dal settore industriale, con le sue molteplici articolazioni, nasce qualcosa di nuovo, dai contorni ben definiti, ma non accettato dal sistema politico-istituzionale del nostro Paese.
Le infiorescenze, quelle che si ottengono dalle varietà ammesse, divengono la materia prima da cui realizzare prodotti che vanno dal ludico alla cosmesi, alla “farmaceutica”, ed altro ancora. L’aspetto “industriale” si evolve giungendo ad un livello superiore, per contenuto e per valore commerciale. La parte apicale della pianta è in grado da sola di soddisfare ogni legittima aspettativa dell’operatore. Ottimizzare diviene così la parola d’ordine, il credo che ciascuno coltivatore e produttore ha accettato di seguire.
Si procede ad ogni costo, come in una sorte di infatuazione collettiva, nella enfatizzazione dei cannabinoidi e similari, tutti racchiusi nel fiore, come imprigionati in una sorta di lampada di Aladino. Basta strofinare tre volte per esaudire i propri desideri. Ogni altro possibile utilizzo della pianta viene dai più abbandonato. Il fiore è bastevole, rende più (economicamente) di ogni altra parte della pianta, ragion per cui si può eliminare ciò che non serve. Si accetta così una riduzione della pianta. La pianta femmina, senza semi, e con poco fusto e ricca di resine è il pargoletto prodigioso, in grado da solo di colmare le giuste aspettative di chi lavora.
Qualcosa però non funziona, il vuoto normativo, come un buco nero, attira e distrugge ogni richiamo ai principi di diritto. Nelle alte sfere la salute pubblica viene vista come un bene minacciato. Si sguinzagliano i ministeri e fioccano le circolari per delegittimare ciò che prima sembrava essere una semplice “denuncia” del sistema.
Il fenomeno cresce, va oltre le aspettative degli stessi ideatori di quella denuncia. Il tutto diviene e si trasforma in un impressionante business. Non è questa una nota deplorevole, né un inganno, tutt’altro. Avviene ciò che deve avvenire in un Paese dove si riconosce come principio di libertà l’iniziativa economica privata, purché il suo svolgimento, come nel caso di specie, non costituisca un elemento di contrasto con l’utilità sociale né arrechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Molti investono tutto quanto posseggono: i risparmi, il lavoro, la dignità, appunto. E per questo semplice motivo che gli operatori non accettano l’idea di dover perdere, essendo la posta in gioco lecita e attuabile. Di fronte alle difficoltà l’uomo si ingegna e non abbandona la presa se sorretto da una idea. Impara ad aggirare l’ostacolo, utilizzando gli strumenti normativi esistenti a proprio vantaggio.
Tutto ciò però non basta. I grandi investitori (quelli servono sempre) non sono disposti a scommettere più di tanto, non è un gioco, chiedono leggi semplici e chiare per poter operare.
A furia di fare di tutta l’erba un fascio si rischia di perdere per l’ennesima volta una grande opportunità. La storia, quella più recente, che ha dato lo start per una nuova avventura, nulla ha insegnato, né valgono come suggerimenti quanto alacremente sta accadendo negli altri Paesi.
Un dubbio, anche se piccolo, dovrebbe sollecitare chi di dovere. Invece sembra che i nostri governanti, anziché assumere un atteggiamento responsabile e consapevole nel considerare e autorizzare l’impiego di questo tesoro della natura in una ottica prettamente industriale, preferiscano un immobilismo gattopardiano, chiaramente anacronistico, manifestando, in tal guisa, un solo ed unico obiettivo, quello di non volersi inimicare chissà chi. Forse il consenso?”