Ad oggi, il fatto che un’altra molecola che agisce sui recettori cannabinoidi periferici, ovvero il cannabidiolo (CBD), risulti positiva per ridurre il peso e migliorare i fattori di rischio metabolici in un modello animale di obesità, getta nuova luce sul fatto che modulare il Sistema Endocannabinoide possa tornare ad essere un’opzione praticabile per affrontare l’obesità.
3. Le evidenze a favore dell’utilizzo della Cannabis Medica
3.1 Minore incidenza di diabete e peso corporeo sano
Vari studi epidemiologici, osservando larghi gruppi di popolazione, hanno analizzato se esista una possibile correlazione tra l’utilizzo di Cannabis e l’incidenza del diabete. Dai risultati questi studi, sembrerebbe che chi utilizza Cannabis abbia meno rischi di sviluppare diabete.
Osservando ampi numeri di partecipanti, infatti, si evince che nonostante un regolare consumo cronico di Cannabis sia associato ad un aumento dell’assorbimento calorico, l’indice di massa corporea non cambi o risulti addirittura ridotto negli utilizzatori di Cannabis , dato che potrebbe essere correlato ad un ruolo inesplorato di altri cannabinoidi presenti nella CM che non interagiscono con i recettori CB1.
I risultati riportati dai ricercatori della University of California, Los Angeles, hanno dimostrato che tra 10,896 adulti Americani, nonostante tutti possedessero una storia familiare simile di diabete, gli attuali o passati consumatori di Cannabis dimostravano una diffusione minore dell’obesità, anche aggiustando le variabili sociali (gruppi etnici, livelli di attività fisica, età etc).
Gli autori dello studio hanno concluso in questo modo:
“Le nostre analisi dei dati NHANES (National Health And Nutrition Examination Survey) raccolti tra il 2005 e il 2010 dimostrano che i partecipanti che utilizzano Cannabis hanno una prevalenza di Diabete Mellito inferiore e minori probabilità di sviluppare questa patologia rispetto ai partecipanti che non la consumano”
Gli studi statunitensi hanno trovato che l’utilizzo di Cannabis è associato positivamente ad un indice di massa corporea più basso, una più piccola misura del giro-vita e superiori livelli di Colesterolo HDL, il cosiddetto “colesterolo buono”.
Similmente, studi osservazionali precedenti hanno scoperto che la diffusione dell’obesità nella popolazione generale è nettamente inferiore tra i consumatori di Cannabis rispetto ai non utilizzatori, e che, come confermato dai dati dell’Harvard Medical School, il giro-vita degli utilizzatori di Cannabis è più sottile rispetto ai non utilizzatori. ; ;
Queste affermazioni e i dati pre-clinici sembrano contraddire l’associazione canonica della Cannabis con un aumento dell’appetito e quindi un maggiore introito calorico. Recenti ricerche sottolineano che “la fame chimica” è però scatenata dall’assunzione occasionale piuttosto che da quella cronica. La Cannabis, infatti, altera gli ormoni che regolano l’appetito (come la grelina) a livello epatico e a livello del tessuto adiposo, provocando un ampio spettro di effetti su glicemia e insulinemia.
Sappiamo inoltre che la Cannabis agisce sui recettori CB1 e CB2 nel cervello, aumentando l’attività dell’adiponectina. Questo ormone aiuta a regolare lo zucchero nel sangue e controlla il peso corporeo, riducendo la tendenza verso il diabete.
Nonostante gli effetti stimolanti l’appetito generati da una bassa glicemia e un’interferenza diretta sulla segnaletica leptina-grelina, la Cannabis è una pianta che svolge un ruolo importante sul peso corporeo e sul tessuto adiposo, plausibilmente proteggendo contro l’insorgenza del diabete.
Nel Luglio del 2015 i ricercatori della Michigan State University hanno analizzato otto studi e trovato che il rischio di contrarre diabete nei consumatori di Cannabis è del 30% più basso rispetto ai non-consumatori.
3.2 Insulina e glucosio circolanti più bassi
Due trials indipendenti svolti presso l’Harvard Medical School e il Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, hanno esaminato le conseguenze del consumo di Cannabis sui livelli di insulina a digiuno e resistenza al glucosio e all’insulina in un largo campione di popolazione maschile e femminile adulta (4.657 partecipanti).
Alti livelli di insulina a digiuno sono considerati un’evidenza di insensibilità all’insulina – ovvero l’incapacità del corpo di rispondere in maniera appropriata all’insulina, considerato un vero e proprio fattore di rischio per il pre-diabete.
Tra i partecipanti allo studio, gli utilizzatori di Cannabis avevano livelli di insulina e glucosio circolante a digiuno il 16% più bassi rispetto ai non utilizzatori, e livelli di resistenza all’insulina inferiori del 17%.
Tali associazioni sono attenuate tra coloro che riportano di aver utilizzato la Cannabis almeno una volta, ma non nei trenta giorni precedenti allo studio, suggerendo che l’impatto del consumo di Cannabis sull’insulina e la resistenza all’insulina esistano principalmente durante periodi di utilizzo recente.
3.3 Effetti della Cannabis sul pancreas
Somministrando estratti resinosi di Cannabis Medicinale a ratti obesi si verifica una riduzione del peso corporeo e un aumento del peso pancreatico, un’azione che implica un effetto protettivo sulle cellule β del pancreas, cellule addette alla produzione di insulina. Anche se la Cannabis contenente THC, nei giusti dosaggi, dimostra effetti anti-obesità eccellenti, le sue caratteristiche psicoattive limitano l’utilità terapeutica di questa molecola. ;
Cruciali sono quindi stati gli studi che hanno dimostrato come il CBD, il principale componente non psicoattivo della Cannabis, eserciti effetti benefici poiché questa molecola è sicura e priva di effetti collaterali anche in dosaggi alti. Studi condotti su topi con Diabete di tipo 1 (diabete con insorgenza in giovane età), hanno dimostrato come un trattamento a base di CBD diminuisca i mediatori infiammatori (come la citochina IL-12) nelle isole pancreatiche (come la cito china IL-12), e che ciò sia associato a migliori livelli di insulina e glucosio nel sangue.
Gli effetti protettivi del CBD sono indotti da modificazioni qualitative delle isole pancreatiche (Isole di Langerhans), inibendo la distruzione specializzata delle isole, prevenendo la futura degenerazione delle cellule deputate al rilascio di insulina.
3.4 Sottoregolazione del Sistema Endocannabinoide
Altre ricerche hanno evidenziato che nella popolazione obesa si osservano recettori CB2 meno funzionanti e sembrerebbe che cannabinoidi come la tetraidrocannabivarina (THCV) in grado di attivarli, possano annullare gli effetti infiammatori correlati con l’obesità, proteggendo dall’insorgenza di diabete.
Dapprima uno studio nei roditori ha mostrato che l’attivazione endogena dei recettori CB2, tramite l’endocannabinoide 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), sia significativamente più bassa nel topo diabetico, suggerendo un ruolo della disfunzione del CB2 nella sindrome metabolica.
Successivamente, questi dati sono stati successivamente confermati da una pubblicazione molto recente di un docente di Cannabiscienza che ha osservato 501 bambini obesi in Italia e ha trovato una minore funzionalità dei recettori CB2. I bambini trattati con agonisti selettivi del CB2 (farmaci che attivano questi recettori) hanno mostrato un’inversione dello stato infiammatorio dovuto all’obesità.
3.4.1 Il CBD e il Diabete: evidenze di prevenzione della patologia
Uno studio del 2006 pubblicato sul Journal of Autoimmunity ha riportato che iniezioni quotidiane di 5 mg/kg di CBD riducono significativamente l’incidenza di diabete ereditario (Tipo 1) nei topi. I ricercatori hanno evidenziato che in una popolazione di topi geneticamente diabetici (NOD, ovvero “diabete non obeso”) l’86% di roditori non trattati (il gruppo di controllo) ha sviluppato la patologia. In contrasto solo il 30% dei topi trattati con il CBD ha sviluppato il diabete.
Non solo l’incidenza del diabete era più bassa somministrando CBD, ma in generale l’inizio della patologia è avvenuto in maniera marcatamente più lenta, come confermato anche in uno studio indipendente.
I risultati hanno evidenziato anche miglioramenti delle manifestazioni della malattia, che nei topi trattati con CBD rimaneva in uno stadio latente del diabete o con solo alcuni sintomi iniziali ;
Inoltre gli scienziati hanno riscontrato che in un modello di dieta ad alto contenuto di grassi, utilizzata per indurre il diabete di Tipo 2, tutti i topi di controllo hanno sviluppato il diabete in una media di 17 settimane, mentre la maggior parte dei topi trattati con il CBD è rimasta libera dal diabete fino alla 26esima settimana. ;
3.4.2 Tetraidrocannabivarina (THCV) per trattare il diabete
La THCV è un cannabinoide minore presente nella pianta di Cannabis. Questa molecola sta acquisendo sempre più importanza e si è dimostrato che agisce come antagonista del recettore CB1, attivando contemporaneamente i recettori CB2.
Questa sua duplice attività di antagonista CB1 e agonista CB2 è molto importante per la regolazione metabolica, diminuendo l’appetito tramite il blocco di CB1 e diminuendo infiammazione e stress ossidativo tramite attivazione di CB2.
Sappiamo che a dosi di soli 3 mg/kg di THCV questa sostanza, così come altre molecole antagoniste dei recettori CB1, riduce sia l’assunzione di cibo, sia il peso corporeo in topi a digiuno e non. La THCV è una molecola considerata “ipofagica”.
In uno studio del 2013 si è analizzato l’effetto della THCV -facente parte della classe dei cannabinoidi varinici- su topi obesi, evidenziando come la somministrazione di questo cannabinoide produca effetti benefici metabolici relativi al diabete, inclusa una riduzione dell’intolleranza al glucosio, aumento della spesa energetica, livelli di trigliceridi epatici migliorati e una migliore sensitività all’insulina. Gli autori hanno concluso così:
Basandoci su questi dati possiamo suggerire che il THCV possa essere un utile trattamento per la sindrome metabolica ed il diabete di tipo 2, sia come trattamento unico che in congiunzione con terapie pre-esistenti.
Nel 2016 sessantadue pazienti diabetici che non utilizzano insulina sono stati arruolati per un trial in doppio cieco che andava proprio a verificare gli effetti del CBD e del THCV. I risultati hanno confermato l’utilizzo del THCV come trattamento di prima linea per il controllo glicemico.
3.4.3 Tetraidrocannabinolo Acido (THCA) per trattare il diabete
Nel gennaio 2020 è stato pubblicato sul giornale scientifico Biochemical Pharmacology, uno studio spagnolo a cui hanno collaborato anche ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale, che analizzava le proprietà dell’Acido Tetraidrocannabinolo (THCA). Questo composto è il precursore nativo del THC che, non essendo decarbossilato, non induce effetti psicotropi. (per maggiori informazioni vedi articolo sulle Caratteristiche fitochimiche della Cannabis Sativa).
In questo studio è stato visto che in un modello di obesità indotta da dieta grassa in animali da laboratorio, il THCA ha ridotto significativamente la massa grassa e l’aumento di peso corporeo degli animali, migliorando sensibilmente l’intolleranza al glucosio e la resistenza all’insulina e prevenendo in gran parte la steatosi epatica, l’adipogenesi e l’infiltrazione dei macrofagi nei tessuti adiposi.
Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato anche il meccanismo d’azione di questo fitocannabinoide. Il THCA si è rivelato essere un modulatore parziale e selettivo dei recettori PPARγ, dotato di un’attività adipogenica (che stimola la produzione di grasso) inferiore rispetto all’agonista PPARγ completo rosiglitazone, un principio attivo antidiabetico.
Poiché il THCA è costitutivamente presente nella pianta e solo successivamente viene trasformato in THC dall’azione del calore, si potrebbe ipotizzare che anche la Cannabis cruda possa essere efficace nel trattare il diabete.
2 Commenti
perche’ i medici non prescrivono cannabis e derivati?
Gentile Angela,
con il diffondersi delle conoscenze scientifiche, pian piano è in aumento il numero dei medici prescrittori.