1. Una pandemia globale e la necessità di una cura in tempi brevi
L’epidemia da coronavirus Sars-CoV-2, comunemente abbreviata in COVID-19, ha colpito più della metà della popolazione mondiale -circa 4,5 miliardi di persone-, tra infetti, morti e la maggioranza costretta o invitata dai loro governi a restare a casa per contenere la diffusione del virus. Le varie misure come l’isolamento obbligatorio o consigliato o la quarantena hanno riguardato circa 210 tra Paesi e territori.
Numeri impressionanti e terrificanti per una pandemia contro la quale una cura efficace o una forma di prevenzione sicura ancora non esiste. Ad esclusione del distanziamento sociale, strategia sicuramente efficace ma che comporta un cambiamento radicale delle abitudini, con notevoli ripercussioni sullo stato di salute psicologico, nonché socio-economico, di ogni individuo.
Secondo gli psicologi, il malessere derivante dallo stop ad ogni relazione sociale è inevitabile e la causa è da ricercarsi nella storia evolutiva della specie umana: la capacità di instaurare complesse dinamiche sociali ha giocato un ruolo chiave nella sopravvivenza e nell’evoluzione della specie; anche il maggior sviluppo cerebrale dell’uomo -così come dei suoi “cugini” primati- sembra sia dovuto alla capacità di gestire relazioni sociali divenute nel tempo più complesse.
Abbiamo affrontato la questione dei cambiamenti a livello del Sistema Endocannabinoide innescati da questa condizione qui: COVID-19 e Sistema Endocannabinoide: 5 metodi per rinforzarci
Il distanziamento sociale non può quindi essere l’unica soluzione.
Per questo motivo, la comunità scientifica internazionale ha concentrato i propri sforzi nel cercare un rimedio efficace per contrastare quest’infezione già dall’inizio di gennaio 2020, quando le prime notizie sull’epidemia da COVID-19 iniziarono ad arrivare dalla Cina.
Le strategie su cui ci si è concentrati, per ottenere un trattamento farmacologico efficace, sono sostanzialmente 2: la ricerca di un vaccino, per prevenire l’infezione e la diffusione del virus in soggetti sani; la ricerca di una cura, per chi ha già contratto il virus.
Lo sviluppo di un vaccino sembra essere la strada più logica per contrastare il nuovo coronavirus. Più di 100 sono i progetti, sia di aziende private che di soggetti pubblici, attualmente allo studio per sviluppare un vaccino contro il COVID-19. Alcuni di essi sono già in fase 1 di sperimentazione, su individui sani. Ma la via è lunga e il successo non è garantito. Secondo le previsioni più rosee, è improbabile che si possa avviare una sperimentazione su un gran numero di individui (fase 2 o fase 3) prima del prossimo anno. Se anche ciò dovesse accadere, i risultati potrebbero comunque non essere positivi. Sono decenni che si cerca un vaccino anti-HIV e anche per la recente epidemia virale da SARS, la ricerca di un vaccino non è andata a buon fine. Comunque, per ora, la speranza non cede il passo alla disillusione.
Per quanto riguarda una cura efficace, la si è cercata soprattutto tra i farmaci già presenti in commercio o frutto di sperimentazioni precedenti, che con più o meno fortuna sono stati utilizzati sia in protocolli clinici che in test in laboratorio.
Ovviamente, i primi ad essere stati proposti e testati sono gli antivirali. Anche se nessuno è specifico per il COVID-19, alcuni sembrano dare risultati promettenti, come il remdesivir, farmaco già approvato dall’agenzia del farmaco USA e in attesa di approvazione in Europa.
Ci sono poi farmaci utilizzati per altri scopi che potrebbero essere efficaci anche contro l’infezione da nuovo coronavirus. Due casi sono molto emblematici in questo senso.
Il primo riguarda il tocilizumab, un anticorpo monoclonare immunosoppressore efficace nell’artrite reumatoide, utilizzato con risultati molto promettenti ed entrato nei protocolli anti-COVID-19, grazie anche al lavoro del Prof Ascierto dell’Ospedale Cotugno di Napoli.
Il secondo riguarda l’utilizzo di idrossiclorochina, un farmaco anti-malarico utilizzato anche per trattare patologie autoimmuni e azitromicina, un antibiotico. Questa combinazione si è rivelata in molti casi efficace nel ridurre l’infezione da nuovo coronavirus, tuttavia gli effetti collaterali -principalmente una grave disfunzione della conduzione cardiaca- sembrano sconsigliarne l’uso. A dispetto di quanto sostenuto dal presidente americano Donal Trump, sponsor entusiasta di questa cura, almeno fino a quando il New York Times non ha rivelato un forte conflitto di interessi, scoprendo che Trump e suoi cari amici detengono quote di società interessate a produrre l’idrossiclorochina.
In questo contesto di ricerca di una cura efficace, la Cannabis Medica è stata varie volta tirata in ballo, anche da soggetti istituzionali. Però, un farmaco per essere utilizzato deve provare la sua efficacia. Per questo motivo, vari trial clinici sono stati recentemente approvati per testare gli effetti della Cannabis Medica e di alcuni suoi componenti contro l’infezione da COVID-19.