Olio di semi di canapa: il concorso scientifico

I benefici sulla salute dell’utilizzo alimentare della Cannabis e dei suoi semi sono stati argomento approfondito in diverse modalità da questa redazione, vuoi tramite il corso Cannabis e Alimentazione con il biologo nutrizionista Dr. Massimiliano D’Imperio, vuoi tramite l’articolo e podcast che presenta le proprietà anti-infiammatorie dei germogli di canapa, o gli articoli che trattano i flavonoidi della pianta e gli utilizzi in dermatologia dell’olio di semi di canapa.

 

Poiché le evidenze per l’introduzione su larga scala (nelle mense di cliniche, scuole, case di riposo..) di un prodotto così utile per la salute non mancano, e poiché questo vero e proprio super-food è facilmente ottenibile nazionalmente, economicamente ed ecologicamente, trovo sia giusto aprire lo spazio per delle considerazioni a firma degli avvocati Nicomede e Michele Di Michele sul settore della Cannabis per fini industriali in Italia.

Perché la canapa alimentare non è ancora diffusa quanto dovrebbe e cosa possiamo fare per aumentare consapevolezza su questa tematica?

INDICE

1. LA SCIENZA COME SOLUZIONE

Quanto più le realtà del mondo accademico sinergizzano con le realtà agricole locali, quanto meglio, sia per gli operatori del settore che per i consumatori finali. Tale interazione potrebbe rappresentare un bene non solo per il settore della canapa, ma in generale per la salute pubblica.

In questa ottica è importante segnalare il concorso nazionale “Canapa è”, ovvero il concorso che stabilisce il miglior olio di semi di cannabis in Italia (o canapa, che dir si voglia), condotti presso il Dipartimento di Farmacia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e dal Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Biologiche e Farmaceutiche dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli” in collaborazione con l’associazione Fracta Sativa UniCanapa.

Questo concorso è servito negli anni a contribuire in primis alla letteratura scientifica, con lavori come la recente pubblicazione “Chemical Analysis of Minor Bioactive Components and Cannabidiolic Acid in Commercial Hemp Seed Oil  sulla rivista Molecules e, in generale, ad allargare all’interesse di diversi enti le proprietà della Cannabis anche nel settore alimentare, stimolando i produttori ad avere un controllo qualità maggiore.

Quanto più sarà forte questo legame tra il settore farmaceutico e quello agronomico, quanto più le nostre tavole si riempiranno di ingredienti che ci terranno lontani da interventi medici. Proprio con questo obiettivo, nelle scorse settimane su questa piattaforma viene lanciato il primo corso e-learning in Italia che parla di Cannabis e Alimentazione, che contestualizza l’utilizzo benefico della canapa aldilà dei cannabinoidi. Il corso è tenuto da un mix di docenti tra nutrizionisti, gastroeneterologi, neuroscienziati, farmacologi e chimici appartenenti ad una gamma di Università italiane tra Nord e Sud Italia: l’Istituto di Scienze della Produzione del Cibo di Bari (CNR), l’Università Federico II di Napoli, l’Università del Piemonte Orientale, l’Università della Campania Vanvitelli e l’Università di Padova. Per maggior info »

2. OLIO DI SEMI DI CANAPA: COME PARTECIPARE AL CONCORSO

3. RIFLESSIONI SUL DIVARIO TRA IMPRENDITORIA “PER SEME” E “PER INFIORESCENZA” DI CANNABIS

Le riflessioni dell’avvocato Nicomede Di Michele sulla cannabis per uso alimentare:

“Dopo il varo della legge 242 del 2016 il mondo della canapa viene interessato da un vero e proprio fenomeno tellurico. Dal settore industriale, con le sue molteplici articolazioni, nasce qualcosa di nuovo, dai contorni ben definiti, ma non accettato dal sistema politico-istituzionale del nostro Paese.

Le infiorescenze, quelle che si ottengono dalle varietà ammesse, divengono la materia prima da cui realizzare prodotti che vanno dal ludico alla cosmesi, alla “farmaceutica”, ed altro ancora. L’aspetto “industriale” si evolve giungendo ad un livello superiore, per contenuto e per valore commerciale. La parte apicale della pianta è in grado da sola di soddisfare ogni legittima aspettativa dell’operatore. Ottimizzare diviene così la parola d’ordine, il credo che ciascuno coltivatore e produttore ha accettato di seguire.

Si procede ad ogni costo, come in una sorte di infatuazione collettiva, nella enfatizzazione dei cannabinoidi e similari, tutti racchiusi nel fiore, come imprigionati in una sorta di lampada di Aladino. Basta strofinare tre volte per esaudire i propri desideri. Ogni altro possibile utilizzo della pianta viene dai più abbandonato. Il fiore è bastevole, rende più (economicamente) di ogni altra parte della pianta, ragion per cui si può eliminare ciò che non serve. Si accetta così una riduzione della pianta. La pianta femmina, senza semi, e con poco fusto e ricca di resine è il pargoletto prodigioso, in grado da solo di colmare le giuste aspettative di chi lavora.

Qualcosa però non funziona, il vuoto normativo, come un buco nero, attira e distrugge ogni richiamo ai principi di diritto. Nelle alte sfere la salute pubblica viene vista come un bene minacciato. Si sguinzagliano i ministeri e fioccano le circolari per delegittimare ciò che prima sembrava essere una semplice “denuncia” del sistema.

Il fenomeno cresce, va oltre le aspettative degli stessi ideatori di quella denuncia. Il tutto diviene e si trasforma in un impressionante business. Non è questa una nota deplorevole, né un inganno, tutt’altro. Avviene ciò che deve avvenire in un Paese dove si riconosce come principio di libertà l’iniziativa economica privata, purché il suo svolgimento, come nel caso di specie, non costituisca un elemento di contrasto con l’utilità sociale né arrechi danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

Molti investono tutto quanto posseggono: i risparmi, il lavoro, la dignità, appunto. E per questo semplice motivo che gli operatori non accettano l’idea di dover perdere, essendo la posta in gioco lecita e attuabile. Di fronte alle difficoltà l’uomo si ingegna e non abbandona la presa se sorretto da una idea. Impara ad aggirare l’ostacolo, utilizzando gli strumenti normativi esistenti a proprio vantaggio.

Tutto ciò però non basta. I grandi investitori (quelli servono sempre) non sono disposti a scommettere più di tanto, non è un gioco, chiedono leggi semplici e chiare per poter operare.

A furia di fare di tutta l’erba un fascio si rischia di perdere per l’ennesima volta una grande opportunità. La storia, quella più recente, che ha dato lo start per una nuova avventura, nulla ha insegnato, né valgono come suggerimenti quanto alacremente sta accadendo negli altri Paesi.

Un dubbio, anche se piccolo, dovrebbe sollecitare chi di dovere. Invece sembra che i nostri governanti, anziché assumere un atteggiamento responsabile e consapevole nel considerare e autorizzare l’impiego di questo tesoro della natura in una ottica prettamente industriale, preferiscano un immobilismo gattopardiano, chiaramente anacronistico, manifestando, in tal guisa, un solo ed unico obiettivo, quello di non volersi inimicare chissà chi. Forse il consenso?”

Autore
Viola Brugnatelli
Direttrice scientifica di Cannabiscienza e ricercatrice in neuroscienze presso l’Università degli Studi di Padova

ti consigliamo di studiare questi corsi:

Master Cannabis e Alimentazione

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