1. FISIOPATOLOGIA DELLE MALATTIE INTESTINALI AUTOIMMUNI: PERCHÉ INSORGONO
Sebbene le malattie infiammatorie croniche intestinali siano note da decenni, esse sono malattie idiopatiche, cioè di causa sconosciuta. Le ipotesi più avanzate sulla loro patogenesi suggeriscono che tale infiammazione cronica sia dovuta ad una concomitanza di cause: probabilmente dei fattori ambientali non chiariti (inquinamento, dieta, fumo, ecc…) in persone geneticamente suscettibili scatenano una risposta immunitaria anomala nei confronti dei normali costituenti del microbiota intestinale, che normalmente dovrebbe essere trattato come self dal sistema immunitario -dovrebbe cioè essere riconosciuto come facente parte dell’organismo e non essere attaccato. [2]
2. LE DIFFERENZE DELLE IBD
Le IBD sono diagnosticate di solito intorno ai venti-trenta anni e la differenza tra le due patologie (morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa) risiede nella porzione del sistema GI coinvolta:
- il morbo di Crohn può colpire qualsiasi parte del tratto gastrointestinale, anche se di solito è prevalente nella zona ileo-cecale (parte inferiore destra dell’addome)
- la Rettocolite Ulcerosa coinvolge esclusivamente la zona del retto e/o del colon.
I sintomi generali delle IBD sono sovrapponibili e riguardano principalmente diarrea, dolore, debolezza, stanchezza e perdita di peso. Tuttavia, mentre per il morbo di Crohn la diarrea e il dolore addominale sono i sintomi iniziali più frequenti, la Rettocolite Ulcerosa invece si presenta di solito con diarrea ematica (contenente sangue rosso vivo e muco), associata ad una sensazione di incompleta evacuazione (tenesmo) e talvolta ad anemia. [3]
3. IMPATTO E COSTO DELLE IBD
Le IBD hanno un impatto molto elevato, in termini di spesa, sul Servizio Sanitario Nazionale. Secondo uno studio condotto dal Centro Eehta dell’Università degli studi di Roma Tor Vergata
In Italia più di 200.000 persone soffrono di malattie infiammatorie croniche intestinali, per un costo a carico del sistema previdenziale (INPS) di circa 21 milioni l’anno.
A questi devono poi sommarsi i cosiddetti costi indiretti, cioè quelli sostenuti personalmente dal paziente. Ciò perché le IBD hanno una notevole influenza negativa sulla vita delle persone che ne soffrono: perdita di controllo delle funzioni intestinali, sensazione di sporcizia e di cattivo odore, diminuzione della capacità lavorativa e problemi nella vita sociale e sessuale -a cui si associano stati di ansia e depressione- sono tra le complicazioni più frequentemente riscontrate in pazienti con IBD. [4]
Soprattutto il senso di fatica cronica, paragonabile a quello dei pazienti affetti da cancro, ha un impatto devastante e invalidante sulla vita sociale e lavorativa del malato. Lo stesso studio del Centro Eetha calcola in 746 euro il costo medio delle spese indirette pro capite mentre, considerando le perdite di produttività generate dall’essere affetto da tali patologie (assenza dal posto di lavoro, ridotta capacità lavorativa, ecc..), i costi medi raggiungono i 2.258 euro in un anno.
Per dare un’idea sulla portata di queste patologie -circa cinque milioni di persone nel mondo ne sono affette- il 19 giugno è stata istituita la Giornata mondiale delle IBD, allo scopo di sensibilizzare e informare l’opinione pubblica su queste malattie e sulla condizione delicata dei pazienti che ne soffrono.
Questo nonostante gli sforzi della comunità scientifica, impegnata da anni nella ricerca di cure appropriate.
4. ESISTONO DEI TRATTAMENTI EFFICACI?
Le attuali terapie per morbo di Crohn e Rettocolite Ulcerosa prevedono principalmente la somministrazione cronica di antiinfiammatori come i glucocorticosteroidi e la mesalazina. Poi abbiamo gli immunosoppressori, come l’azatioprina, che rappresentano la terapia di scelta nel mantenimento dopo la remissione, nonostante questi farmaci non posseggano una provata efficacia nel lungo termine.
Farmaci come la sulfasalazina e il suo derivato acido 5-aminosalicilico (5-ASA) sono efficaci nella fase acuta, se lieve-moderata, della malattia e nella prevenzione delle recidive.
I cosiddetti farmaci biologici, come gli anticorpi monoclonali anti-TNFa (infliximab e adalimumab) e il vedolizumab sono stati introdotti nella terapia dell’IBD recidivante con risultati incoraggianti nel mantenimento della remissione.
Tuttavia, il rischio a lungo termine di questi farmaci, la possibilità di indurre effetti collaterali severi (gli immunosoppressori possono predisporre a distruzione del midollo osseo, epatite, pancreatite e disordini linfoproliferativi mentre la terapia biologica risulta essere associata ad un aumentato rischio di infezioni), insieme agli alti costi della terapia per i pazienti e per lo Stato, giustificano la ricerca di approcci terapeutici nuovi e alternativi. [5] Tra questi, agire sul Sistema Endocannabinoide (SEC), potrebbe rappresentare una chiave di svolta nel trattamento delle IBD.
5. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE COME POTENZIALE BERSAGLIO TERAPEUTICO NELLE IBD
Come già sottolineato nell’articolo “Il Sistema Endocannabinoide nel tratto Gastrointestinale“, il SEC è presente in maniera preponderante lungo il tratto GI. I recettori CB1 e CB2, gli endocannabinoidi anandamide, N-aciletanolamina (AEA) e 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), i loro sistemi di degradazione (gli enzimi FAAH, NAAA e MAGL principalmente) e i simil-cannabinoidi PEA e OEA, svolgono tutti un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’omeostasi gastrointestinale, ruolo che va dalla regolazione del comportamento alimentare, alla gastroprotezione e alla modulazione della composizione del microbiota. [6]
Molte sono anche le funzioni del SEC che potrebbero essere sfruttate nel caso di IBD, come la modulazione della motilità intestinale, dell’ipersensibilità viscerale, dell’infiammazione e della permeabilità intestinale.
Consideriamo ora alcuni di questi aspetti più in dettaglio.
5.1 MOTILITÀ INTESTINALE
Una delle principali problematiche associate alle IBD è la diarrea frequente. Essa è correlata ad un aumento della motilità intestinale, come conseguenza dell’infiammazione cronica della parete intestinale. Per questa ragione, inibire la motilità intestinale è un intervento auspicabile nei pazienti con IBD.
In condizioni fisiologiche, sia i cannabinoidi che gli endocannabinoidi inducono una diminuzione della motilità intestinale, soprattutto attraverso l’attivazione del recettore CB1. [7] ; [8]
In condizioni patologiche, nel caso cioè di infiammazione cronica della parete intestinale, una riduzione della motilità può essere ottenuta anche attraverso l’attivazione del CB2. [9] In questa condizione che poi è quella tipica delle IBD, il numero di recettori per i cannabinoidi, soprattutto del CB2, sembrerebbe essere aumentato e ciò permetterebbe di ottenere una diminuzione della motilità intestinale utilizzando dosi minori di cannabinoidi [10].
Un altro effetto desiderabile in caso di IBD è la diminuzione della secrezione di elettroliti e acidi biliari nell’intestino, in quanto ciò, insieme ad una diminuzione dell’assorbimento di acqua, è un’ulteriore causa di diarrea. Attivando i recettori CB1 intestinali, si può ottenere una diminuzione della secrezione intestinale. [11]
5.2 INFIAMMAZIONE INTESTINALE
L’infiammazione della parete intestinale, che caratterizza appunto le IBD, può essere direttamente controllata agendo sul SEC.
Qui entrano in gioco soprattutto i recettori CB2, localizzati sulle cellule immunitarie (macrofagi e linfociti principalmente), ma anche i CB1 e altri recettori non tipicamente cannabinoidi, come il TRPV, i PPAR, il GRP55 e l’A2A. [12] ; [13]
L’attivazione di questi recettori, da parte degli endocannabinoidi e dei cannabinoidi sia naturali che sintetici, induce una diminuzione del livello delle cellule infiammatorie circolanti principalmente attraverso una diminuzione del rilascio di citochine pro-infiammatorie e del “tono immunitario” in generale, che si traduce in una diminuzione della condizione infiammatoria [14] ; [15]Pacher P, Bátkai S, Kunos G.
“The endocannabinoid system as an emerging target of pharmacotherapy”.
Pharmacol Rev. 2006 Sep;58(3):389-462..
L’aumento della permeabilità intestinale è un fattore molto importante nei meccanismi patogenetici delle IBD, in quanto permette ai prodotti batterici e ad altri antigeni di attraversare la parete intestinale, causando infiammazione e danno tissutale. Ciò è dovuto principalmente ad un danneggiamento dell’epitelio intestinale, cioè di quelle cellule che fungono da rivestimento della parete cellulare.
Migliorare la permeabilità intestinale è un approccio importante in caso di IBD.
Questo effetto può essere ottenuto attivando il recettore CB1, il quale induce un aumento della velocità di riparazione dell’epitelio intestinale in caso di lesione e una diminuzione della permeabilità intestinale in generale, anche se in quest’ultimo caso i dati sono ancora preliminari e c’è bisogno di ulteriori approfondimenti. [16] ; [17]
In ogni caso, la riduzione dell’infiammazione della parete intestinale, che si verifica in caso di attivazione dei recettori per i cannabinoidi, è già di per sé in grado di migliorare indirettamente la permeabilità intestinale. [18]
5.3 NAUSEA E DOLORE
Come già sottolineato in precedenza, la sensazione di nausea, sconforto e dolore cronico sono delle problematiche associate all’IBD che influiscono molto negativamente sulla vita del paziente. Probabilmente questo è uno degli aspetti delle IBD in cui i cannabinoidi potrebbero avere maggior successo, considerando che l’efficacia dei cannabinoidi in caso di dolore viscerale – quello che nasce dagli organi interni siti nella zona toracica e addominale, diffuso e di difficile localizzazione- è ormai comprovata da numerosi studi.
Qui entrano in gioco sia i recettori CB1 che CB2, la cui attivazione diminuisce la sensazione di dolore viscerale agendo sia sul Sistema Nervoso Centrale che su quello Periferico. [19]
Inoltre, numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia dei cannabinoidi e derivati contro la nausea -soprattutto associata a condizioni patologiche o all’uso di chemioterapici- attraverso l’attivazione dei recettori CB2 centrali [20] ; [21].
Infine, un aspetto da considerare è l’interazione reciproca tra il SEC e il microbiota intestinale, argomento che è stato approfondito in questo articolo.
L’alterazione della normale composizione del microbiota sembra essere una delle cause scatenanti delle IBD. Agendo sul SEC si può modificare la composizione del microbiota intestinale e, al contrario, utilizzando batteri probiotici si può modulare l’attività del SEC, ottenendo ad esempio effetti analgesici, ma probabilmente anche di miglioramento del tono dell’umore. [22] ; [23]
6. DALLA TEORIA ALLA PRATICA: GLI STUDI
Da quanto detto finora, il SEC appare come un interessante bersaglio terapeutico in caso di IBD, soprattutto per la sua diretta implicazione nella regolazione dell’omeostasi del tratto GI. Ciò è in linea con rapporti aneddotici noti da tempo, secondo cui l’utilizzo di Cannabis è in grado di alleviare i sintomi delle IBD. Vari studi, sia sull’uomo che sull’animale, hanno via via confermato questa ipotesi.
6.1 RICERCA SUGLI ANIMALI
Il primo studio che ha dimostrato il coinvolgimento del SEC nelle IBD è datato 2004 ed è il risultato della collaborazione tra l’Università di Cagliari e altri centri internazionali. Utilizzando topi knock-out per il recettore CB1 (animali geneticamente modificati privi di recettori cannabinoidi CB1), i ricercatori notarono una maggior suscettibilità allo sviluppo di coliti croniche (anche se non esistono modelli animali di Rettocolite Ulcerosa o Crohn, le coliti croniche mimano quasi perfettamente il quadro patologico delle IBD, ndr). [24]
Uno studio successivo ha dimostrato che anche i topi che non hanno il CB2 erano maggiormente suscettibili allo sviluppo di coliti. [25]
Inoltre, l’espressione di entrambi i recettori sembra essere aumentata negli animali con coliti croniche, anche se in questo caso i dati dei diversi studi sono leggermente contrastanti. [26] ; [27] ; [28]
Ulteriori studi sugli animali hanno confermato che, utilizzando farmaci che agiscono soprattutto sul recettore CB2, ma anche sul CB1 o su entrambi, è possibile migliorare il quadro clinico delle coliti, riducendo la diarrea cronica, i segni di infiammazione intestinale e di danno tissutale e la perdita di peso che sono tutte caratteristiche delle IBD.
Questi studi rappresentano un importante conferma dell’effetto protettivo indotto dell’attivazione dei recettori per i cannabinoidi in caso di IBD. [29]
6.2 RICERCA SULL’UOMO
Il passo successivo è stato valutare questi risultati nell’uomo. Per prima cosa si è cercato di capire se i cosiddetti Single nucleotide polymorphisms (SNP, mutazioni di singoli geni appartenenti al SEC) potessero avere un impatto sulle IBD, in quanto l’ereditarietà sembra essere una delle cause scatenanti queste patologie. In effetti, dei polimorfismi sono stati individuati a carico di vari componenti del SEC (recettori, enzimi di degradazione, ecc…) e, in generale, essi sono associati ad un peggioramento del quadro clinico. [30]
Sebbene queste alterazioni siano state riscontrate in un numero ristretto di pazienti e non sono quindi correlabili allo sviluppo delle IBD, questi dati confermano, ancora una volta, il ruolo attivo del SEC -anche se non esclusivo- nello sviluppo della sintomatologia legata alle IBD.
Analizzando campioni di biopsie prelevati dall’intestino di pazienti con Rettocolite Ulcerosa e Crohn, gli studiosi delle Università di Pavia, Teramo e Roma hanno poi osservato un’alterazione dei livelli di vari endocannabinoidi rispetto ai soggetti sani, come l’anandamide e la PEA. [31] ; [32]
Se non sai cos’è la PEA, puoi approfondire l’argomento nella pubblicazione dedicata:
La PEA, in particolare, risulta efficace nell’inibire l’infiltrazione di cellule pro-infiammatorie (macrofagi e neutrofili) nella mucosa del colon e nel diminuire l’espressione e il rilascio di tutti i marcatori pro-infiammatori tipici della Rettocolite Ulcerosa sia in animali da laboratorio che in campioni bioptici umani. [33]
Inoltre, almeno nella Rettocolite Ulcerosa, la variazione dei livelli di endocannabinoidi, dei loro recettori e sistemi di degradazione, è correlata sia al clinical score, cioè al grado di infiammazione, sia alla fase della malattia (acuta o in remissione). [34]
7. CANNABIS MEDICA E IBD
Nel 2012, uno studio realizzato dai ricercatori dell’Università di Tel Aviv, in Israele, ha analizzato gli effetti del trattamento con Cannabis sulla qualità della vita, il peso e il clinical score in un piccolo numero di pazienti con IBD, nell’arco di un periodo di 3 mesi.
Ai pazienti con IBD venivano fornite sigarette di Cannabis e veniva loro richiesto di fumarle ogni volta che sentivano dolore (50 grammi di Cannabis al mese, per un massimo di 3 inalazioni a volta, per evitare effetti collaterali centrali). In seguito al trattamento, in tutti i pazienti si è osservato un aumento significativo del peso -auspicabile in caso di IBD-, nonché un miglioramento dell’indice di attività della malattia, della percezione dello stato di salute generale e della capacità di svolgere attività quotidiane. [35]
Sempre in Israele, il team di ricerca guidato dalla dottoressa Timna Naftali, ha effettuato una serie di studi clinici su pazienti con IBD, utilizzando varie dosi di THC e varie modalità di assunzione ed in ognuno di questi studi è stato sempre riportato un miglioramento generale della qualità della vita dei pazienti. [36] ; [37]
Infine, in un articolo apparso nel 2014 su Nature Reviews, viene sottolineato come l’abitudine di utilizzare Cannabis sia molto comune tra i pazienti con IBD. I numerosi studi citati in questo articolo mettono in evidenza come questa abitudine sia correlata ad una diminuzione dei sintomi -soprattutto il dolore addominale e la nausea– e ad un miglioramento generale della qualità della vita dei pazienti con IBD. [38]
Va comunque sottolineato che nei vari studi clinici effettuati, l’utilizzo di fitocannabinoidi o cannabinoidi sintetici, sebbene abbia portato ad una riduzione dei sintomi delle IBD e ad un miglioramento della qualità della vita, non è stato in grado di soddisfare l’endpoint primario, ovvero la remissione dalle IBD [39].
In ogni caso, mettendo insieme le informazioni sugli studi clinici finora effettuati e i report dei pazienti che autonomamente hanno scelto di utilizzare Cannabis per trarre sollievo dalle IBD, è possibile ricavare delle “linee guida” generali sull’utilizzo di Cannabis in caso di IBD. Infatti, possiamo concludere che la maggior parte dei pazienti risponde ad 1 grammo di Cannabis/die, anche se, quando si inizia la terapia, è consigliabile iniziare con una dose bassa (inferiore ad 1 grammo al giorno), specialmente se il paziente non è abituato all’uso di Cannabis. Inoltre, si è visto che, in generale, i pazienti con IBD tendono a preferire composizioni con un alto contenuto di tetraidrocannabinolo (THC), soprattutto per alleviare il dolore e ad usarlo nelle ore notturne, per limitare gli effetti indesiderati.
8. MODIFICARE IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE PER TRATTARE L’IBD?
Il quadro completo che emerge dagli studi sull’uomo e sull’animale, descrive un aumento dell’espressione dei componenti del SEC e un suo effetto protettivo nel caso di IBD. Per questo motivo, vari approcci terapeutici che coinvolgano la modulazione dell’azione del SEC sono stati di volta in volta valutati.
L’utilizzo di agonisti non selettivi (molecole che attivano entrambi i recettori cannabinoidi, CB1 e CB2) come l’endocannabinoide anandamide e il fitocannabinoide Δ9-THC si sono rivelati utili nell’alleviare l’infiammazione in animali da laboratorio con colite cronica, così come anche l’utilizzo dell’agonista CB1-selettivo ACEA e del cannabidiolo (CBD). [40] ; [41] ; [42]
Poiché l’attivazione del CB1 ha la possibilità di indurre effetti centrali, si sono successivamente valutati agonisti che fossero soprattutto CB2-selettivi, in modo da ridurre i possibili effetti collaterali. I risultati dei numerosi studi effettuati in questo senso su animali con coliti croniche sono molto promettenti, in quanto gli agonisti CB2 sono in grado di ridurre l’infiammazione associata alle coliti e sono efficaci in tutte le varie fasi della patologia. [43] ; [44]
Invece di utilizzare farmaci agonisti, un’altra strategia terapeutica per aumentare il tono del SEC può essere quella di inibire i sistemi di degradazione degli endocannabinoidi. Bloccando, ad esempio, l’azione dell’enzima FAAH si aumentano i livelli di anandamide e ciò è risultato efficace nel ridurre l’infiammazione indotta da coliti negli animali da laboratorio. [45] ; [46] ; [47] Stesso risultato è stato ottenuto inibendo l’enzima MAGL, responsabile della degradazione del 2-arachidonoilglicerolo. [48]
9. LE IBD: CONCLUSIONI
I risultati raccolti negli studi sull’uomo e nei modelli animali di IBD, indicano che i componenti del SEC possano essere dei potenziali e promettenti bersagli farmacologici in caso di malattie infiammatorie intestinali. Ciò è dovuto al ruolo centrale del SEC nella regolazione dell’omeostasi del tratto GI. Di conseguenza -e i dati sui modelli sperimentali finora in nostro possesso lo dimostrano- è opinione comune, nella comunità scientifica, che il miglioramento della segnalazione endocannabinoide possa svolgere un ruolo protettivo contro le IBD.
La riduzione dei sintomi – soprattutto dolore addominale e nausea – e il miglioramento della qualità della vita possono essere ottenuti stimolando il SEC a livello periferico e l’abitudine nell’utilizzo della Cannabis da parte di molti pazienti affetti da IBD lo conferma.
Tuttavia, il quadro complessivo che emerge dagli esperimenti nell’uomo è molto più complesso di quanto gli studi sugli animali potessero far pensare, sia perché non esistono modelli sperimentali di IBD veri e propri, sia perché i dati clinici finora ottenuti riguardano un numero esiguo di pazienti.
Concludendo, sebbene la comunità scientifica concordi sul potenziale terapeutico della manipolazione del SEC in caso di IBD, ulteriori studi, specialmente sull’uomo, sono necessari per confermare quanto è finora emerso dagli studi preclinici.