La Cannabis Medica in oncologia

Cannabis e oncologia: un argomento molto dibattuto. In questo breve articolo commentiamo l’ultima pubblicazione uscita su Current Treatment Options in Oncology dal titolo: “Gli oncologi dovrebbero raccomandare Cannabis Medica?”

 

INDICE

1. INTRODUZIONE

Il numero di giugno della rivista Current Treatment Options in Oncology, si è incentrato sulle cure palliative e di supporto ai pazienti oncologici. Tra i vari trattamenti proposti, in un articolo dal titolo “Should Oncologists Recommend Cannabis?” (Gli oncologi dovrebbero raccomandare Cannabis?), il Professor Donald I. Abrams, del Dipartimento di Ematologia-Oncologia dell’Università di San Francisco, USA, ci spiega perché la Cannabis dovrebbe essere prescritta anche a pazienti oncologici. Vediamo insieme come affronta l’argomento.

2. CANNABIS E TERAPIA ONCOLOGICA: LA STORIA

La cannabis è una specie botanica le cui potenzialità terapeutiche, anche in campo oncologico, sembrerebbero conosciute da millenni. A supporto di questa ipotesi, l’autore ci illustra un’interessante aneddoto scientifico: tra i ghiacci siberiani è stato scoperto il corpo di una giovane donna vissuta 2700 anni fa, con evidenti segni di metastasi da cancro al seno – come rivelato da indagini di risonanza magnetica- con accanto una borsa contenente Cannabis, utilizzata dalla donna, secondo gli studiosi, proprio come rimedio anticancro. 

Nonostante l’ondata di proibizionismo che a livello mondiale, nel secolo scorso, ha impedito di trattare e studiare la Cannabis come pianta medicinale, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC) -il principio attivo della Cannabis responsabile, tra gli altri, degli effetti psicotropi-  è stato sviluppato come farmaco autonomo nel 1986, inizialmente approvato per il trattamento della nausea e del vomito associati a chemioterapia. L’indicazione terapeutica è stata ampliata nel 1992 per includere il trattamento dell’anoressia, in pazienti con sindrome da deperimento da AIDS e chemioterapia e successivamente sono state incluse anche altre patologie.

Quindi, se il principale cannabinoide della Cannabis è disponibile come farmaco da prescrizione, sembrerebbe logico che la specie botanica da cui deriva, la Cannabis, abbia probabilmente benefici terapeutici simili. Questo è l’assunto da cui parte l’autore, per spiegare poi i benefici della pianta.

Il sistema dei recettori cannabinoidi e dei cannabinoidi endogeni (endocannabinoidi), si è probabilmente sviluppato per aiutarci a modulare la nostra risposta a stimoli nocivi. I fitocannabinoidi -i cannabinoidi presenti nella pianta di cannabis-  sono anch’essi in grado di legarsi con questi recettori e, tra i vari effetti della Cannabis, quelli analgesici sono forse quelli meglio supportati dall’evidenza clinica. Ne abbiamo parlato in un’altra pubblicazione:

3. ONCOLOGIA: CONSIGLI PRATICI PER L’UTILIZZO DI CANNABIS

In campo oncologico, però, nonostante i significativi risultati in vitro e su modelli animali a supporto dell’attività antitumorale dei singoli cannabinoidi – in particolare il THC e il cannabidiolo (CBD) -, l’evidenza clinica, cioè i dati sull’uomo, sono molto scarsi.

Questo, tuttavia, non deve scoraggiare l’utilizzo della Cannabis in pazienti oncologici, perché, secondo l’autore, un singolo intervento terapeutico può essere di aiuto per:

  • nausea
  • appetito
  • dolore
  • umore
  • sonno

e può pertanto essere una preziosa aggiunta all’armamentario di cure palliative finora disponibili. Inoltre, sebbene molti operatori sanitari sconsiglino l’inalazione di una specie botanica come sistema di somministrazione di farmaci nel ventunesimo secolo, le prove di gravi effetti nocivi dell’inalazione di Cannabis sono scarse e una varietà di altri metodi di somministrazione, tra cui l’ingestione, sono attualmente disponibili presso i dispensari (o nel caso italiano, nelle farmacie).

4. CONCLUSIONI

In conclusione, considerata anche l’alta richiesta da parte dei pazienti, l’autore afferma che oncologi e fornitori di cure palliative dovrebbero raccomandare l’utilizzo di Cannabis, anche al fine di ottenere prove di prima mano del suo potenziale terapeutico.

Infine, poiché la maggior parte degli operatori sanitari si è formato durante gli ultimi 75 anni di proibizionismo, l’articolo si conclude sottolineando l’importanza di una maggiore educazione e formazione sul tema, da parte di tutti i soggetti coinvolti.

Autore
Fabio Turco
Neurogastrocannabinologo - Chimico Farmaceutico

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