1. LA SINDROME DA STRESS RESPIRATORIO ACUTO
Durante questo periodo di pandemia si è parlato molto della sindrome da stress respiratorio acuto (ARDS), una delle manifestazioni cliniche maggiormente caratterizzanti l’infezione da COVID-19.
La ARDS può essere scatenata da una varietà di agenti eziologici. Uno di questi è l’enterotossina stafilococcica B (SEB), uno dei più potenti super-antigeni batterici -sostanze in grado di scatenare una forte risposta immunitaria. La SEB può esercitare effetti tossici profondi, inducendo la cosiddetta “tempesta di citochine”, un abnorme produzione di mediatori pro-infiammatori che se non controllata può danneggiare seriamente ed irreversibilmente i tessuti colpiti. La tempesta di citochine è un’altra manifestazione tipica dell’infezione da COVID-19.
La capacità della SEB di causare l’ARDS può essere correlata al fatto che, quando inalata, essa attiva una grande percentuale di cellule infiammatorie (in particolare i linfociti T), le quali innescano la tempesta di citochine con conseguenti danni a vari organi, compresi i polmoni.
L’ARDS è una condizione difficile da trattare e, attualmente, non ci sono agenti farmacologici in grado di proteggere l’uomo dalla tossicità mediata dalla SEB.
2. IL RUOLO DEL MICROBIOTA
Con il termine microbiota si intende l’insieme di microorganismi simbiotici che convivono con l’organismo umano senza danneggiarlo.
Quello più caratterizzato è senza dubbio il microbiota intestinale e studi recenti hanno dimostrato che esso può svolgere un ruolo fondamentale nella patogenesi della ARDS, coinvolgendo altri organi oltre all’intestino. Ciò deriva dal fatto che il microbiota intestinale produce acidi grassi a catena corta (short chain fatto acids, SCFA) che possono muoversi a livello sistemico e causare cambiamenti immunomodulatori in siti anche molto distanti dall’intestino.
L’intestino, inoltre, non è l’unica sede del microbiota. Esso può trovarsi anche a livello di altri organi: nel sistema uro-genitale, sulla pelle e anche nei polmoni, ad esempio.
Il ruolo del microbiota nell’ARDS non è noto e, prima di questo studio, non si sapeva se eventuali alterazioni della composizione del microbiota intestinale (disbiosi) e/o polmonare potessero influire sulla patogenesi dell’ARDS.
3. IL RUOLO DEL THC NEL TRATTAMENTO DELL’ARDS: LO STUDIO
Ad oggi, non ci sono farmaci approvati dall’EMA o dall’FDA (le agenzie del farmaco europea e statunitense) per il trattamento dell’ARDS.
Farmaci come i corticosteroidi e i bloccanti neuromuscolari possono essere utili per l’ARDS, ma il tasso di mortalità rimane alto.
Il tetraidrocannabinolo (THC), componente psicotropo della Cannabis, potrebbe servire allo scopo. Infatti, le sue proprietà anti-infiammatorie sono ormai ben note e vari sono gli studi in cui viene mostrato il suo potenziale come agente immunosuppressore.
Partendo da queste considerazioni, il Dr. Mitzi Nagarkatti e il Dr. Prakash Nagarkatti, nei loro laboratori dell’University of South Carolina (USA) School of Medicine, hanno analizzato il ruolo del THC nell’ARDS.
I risultati delle loro ricerche sono stati pubblicati recentemente sul British Journal of Pharmacology, con uno studio dal titolo Protective Effects of Δ9-Tetrahydrocannabinol Against Enterotoxin-induced Acute Respiratory Distress Syndrome is Mediated by Modulation of Microbiota (Gli effetti protettivi del Δ9-tetraidrocannabinolo contro la sindrome da stress respiratorio acuto indotta dall’enterotossina sono mediati dalla modulazione del microbiota).
Nel loro lavoro, i ricercatori hanno utilizzato un modello animale in cui era stata indotta una sindrome da stress respiratorio acuto, in seguito all’infezione con la tossina SEB.
Dopo aver ricevuto il THC, gli animali che sviluppavano l’ARDS sono stati monitorati per l’infiammazione polmonare, per alterazioni del microbiota intestinale e polmonare e per la produzione di SCFA. Sono state studiate anche eventuali modifiche genetiche nelle cellule epiteliali polmonari.
Infine, i ricercatori hanno eseguito una tecnica che sta riscuotendo molto successo negli ultimi anni, il trapianto di microbiota fecale -una procedura attraverso la quale il microbiota di un donatore ricavato dalle feci, opportunamente trattato, è impiantato, mediante colonscopia o clistere, nell’intestino di un ricevente- in questo caso utile per confermare il ruolo delle alterazioni del microbiota indotte dal THC, nella patogenesi dell’ARDS.
4. IL RUOLO PROTETTIVO DEL THC SI ESERCITA ATTRAVERSO LA MODULAZIONE DEL MICROBIOTA
I risultati dello studio hanno mostrato che l’enterotossina batterica innesca l’ARDS e che essa, se non curata, ha un tasso di mortalità del 100% negli animali da laboratorio.
Il trattamento con il THC ha protetto i topi dagli effetti deleteri dell’enterotossina, inducendo una riduzione dell’infiltrazione di cellule immunitarie nei polmoni, una riduzione dei livelli dei mediatori pro-infiammatori nel sangue ed un aumento delle citochine anti-infiammatorie circolanti.
Il THC ha anche modificato la composizione del microbiota dei topi esposti alla SEB: si è osservato un aumento di specie batteriche protettive, una diminuzione di quelle in grado di scatenare risposte infiammatorie deleterie e un aumento della produzione di acidi grassi a catena corta, sostanze che possono svolgere effetti protettivi sull’organismo. Tra questi, si è visto che in particolare l’acido propionico era in grado di inibire l’attivazione dei linfociti T e la conseguente risposta infiammatoria.
Sembra quindi che queste alterazioni del microbiota siano cruciali per l’effetto protettivo del THC.
Gli esperimenti con il trapianto di microbiota fecale sembrano confermare questa ipotesi: mentre i topi che ricevevano il microbiota prelevato dai topi infetti morivano tutti, nonostante il trattamento con antibiotici, quelli che ricevevano microbiota da topi infetti trattati con THC mostravano un tasso di sopravvivenza superiore all’80%. In quest’ultimo caso il THC esercitava quindi i suoi effetti in maniera indiretta, attraverso un’alterazione del microbiota dei topi infetti.
L’effetto protettivo del THC è stato osservato anche a livello cellulare. Nelle cellule epiteliali polmonare si è osservato un aumento dell’espressione dei geni che semtiva dei polmoni, formata da proteine glicosilate- e quelli che “serrano” le cellule polmonari (come le occludine, le zonuline, ecc…), impedendo l’entrata di sostanze potenzialmente tossiche come l’enterotossina stafilococcica.brano proteggere contro le infezioni, come quelli che inducono la produzione di muco -una sorta di pellicola protet
5. CONCLUSIONI: IL THC UTILE ANCHE CONTRO IL COVID 19?
I laboratori dei dottori Mitzi e Prakash Nagarkatti hanno eseguito decenni di studi pionieristici sui cannabinoidi. Infatti, i loro esperimenti sull’uso del cannabidiolo (CBD) per trattare l’epatite autoimmune, sono ben conosciuti nel campo e hanno portato all’approvazione, da parte dell’FDA, del CBD come farmaco per il trattamento di questo disturbo.
Le loro ricerche hanno inoltre dimostrato che i cannabinoidi sono potenti agenti antinfiammatori che possono essere usati in sicurezza per trattare una varietà di malattie infiammatorie e autoimmuni come la sclerosi multipla, la colite, l’epatite e simili.
Questo loro ultimo lavoro sul THC nella sindrome da stress respiratorio è anch’esso di grande impatto.
Lo studio ha infatti dimostrato che l’enterotossina stafilococcica SEB altera il microbiota dei polmoni, portando alla comparsa di microbiota patogeno. Il THC è efficace nell’invertire questa tendenza, promuovendo batteri benefici che sopprimono l’infiammazione, prevenendo così il danno ai polmoni.
Inoltre, l’enterotossina stafilococcica può causare un forte stress respiratorio. La SEB infatti attiva le cellule immunitarie, che iniziano a produrre enormi quantità di citochine, innescando così una “tempesta di citochine”, che può causare gravi danni ai polmoni e ad altri organi, spesso con esiti fatali.
Questo processo immunitario è simile a quello osservato nei pazienti con grave infezione da COVID-19, caratterizzato dall’abnorme produzione di citochine infiammatorie e dalla conseguente insufficienza respiratoria, oltre che da danni a numerosi tessuti e organi.
Questo lavoro quindi solleva l’eccitante possibilità di utilizzare i cannabinoidi per trattare anche la sindrome da stress respiratorio acuto osservata nei pazienti COVID-19.
Infatti, come affermato dal Dr. Prakash Nagarkatti:
“La tempesta di citochine è un enorme problema clinico che porta al danneggiamento di molti organi, se non che alla morte. Si osserva anche nei pazienti COVID-19 e non ci sono modalità di trattamento efficaci contro questa sindrome. Lavoriamo sui cannabinoidi da oltre 20 anni e abbiamo scoperto che i cannabinoidi come il THC sono altamente antinfiammatori. Pertanto, i nostri studi sollevano l’entusiasmante suggerimento di testare il THC contro l’ARDS osservato nei pazienti COVID-19 “.
Non resta allora che aspettare i risultati di questi nuovi studi.
Noi di Cannabiscienza, come al solito, vi terremo aggiornati.
6. REFERENZE
Amira Mohammed Hasan Alghetaa Juhua Zhou Saurabh Chatterjee Prakash Nagarkatti Mitzi Nagarkatti. Protective Effects of Δ9‐Tetrahydrocannabinol Against Enterotoxin‐induced Acute Respiratory Distress Syndrome is Mediated by Modulation of Microbiota. Br J Pharmacol. 2020 Aug 4;10.1111/bph.15226.