1. IL SISTEMA GASTROINTESTINALE: CHE COS’È E COME FUNZIONA
Il tratto gastrointestinale (GI) è formato da una serie di organi cavi uniti tra di loro in un lungo tubo che parte dalla bocca per arrivare, attraverso “contorcimenti” vari, all’ano. Gli organi che costituiscono il tratto gastrointestinale sono la bocca, l’esofago, lo stomaco, l’intestino nelle sue varie suddivisioni e l’ano. Insieme a fegato, pancreas e cistifellea costituisce quello che viene definito “apparato digerente”. [2]
Le attività del sistema GI sono per la maggior parte indipendenti dalla nostra volontà e vengono coordinate da una serie di neuroni: quelli del Sistema Nervoso Centrale, di quello Periferico e del Sistema Nervoso Enterico. [3]
Altro costituente fondamentale del tratto GI è rappresentato dal microbiota -quello che una volta era definito microflora intestinale-, i cosiddetti batteri “buoni” che, lavorando in simbiosi con il nostro organismo, aiutano nei processi di digestione del cibo e svolgono un ruolo preventivo nell’insorgenza di diverse patologie. [4] Tutti questi costituenti si coordinano tra loro per ottemperare alla funzione più importante del tratto GI che è, appunto, la digestione del cibo.
Attraverso una serie minuziosa di processi, nel sistema gastrointestinale il cibo viene trasformato nell’energia necessaria a compiere le varie funzioni della vita. In questo che è uno degli aspetti fondamentali della biologia animale, il Sistema Endocannabinoide svolge un ruolo regolatorio di primo piano.
2. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE NEL TRATTO GASTROINTESTINALE
La prima notizia della presenza del Sistema Endocannabinoide nel sistema GI animale risale al 1995, quando un gruppo di scienziati israeliani guidati da Raphael Mechulam -lo stesso che per primo identificò il THC- isolò un endocannabinoide, il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) nell’intestino canino. [5] In seguito venne identificato un altro endocannabionoide, l’Anandamide, e l’enzima responsabile della sua degradazione (FAAH) nell’intestino di topo. [6] ; [7] Successivamente componenti dell’ECS vennero identificati praticamente in ogni porzione del sistema GI umano e animale.
Per ripassare come funziona e da quali componenti è composto il Sistema Endocannabinoide, leggi il Vademecum:
I recettori CB1 sono presenti praticamente ovunque, soprattutto a livello dello stomaco e del colon, la porzione terminale dell’intestino. [8] Qui si trovano principalmente sulle cellule epiteliali, le cellule di rivestimento della parete intestinale. I recettori CB1 si trovano anche sui neuroni che controllano le attività del sistema GI, soprattutto su quelli del Sistema Nervoso Enterico. [9]
Anche i recettori CB2 sono presenti nel Sistema Nervoso Enterico, ma essi si trovano soprattutto sulle cellule immunitarie presenti lungo il tratto gastrointestinale. [10]
Gli enzimi responsabili del catabolismo dei due principali endocannabinoidi, ovvero della loro degradazione, sono stati trovati lungo tutto il tratto GI. [11] ; [12] Qui troviamo anche la Palmitoiletanolamide (PEA), l’oleoiletanolamide (OEA) e altri composti simili. [13] Queste molecole, pur non agendo direttamente sui recettori CB1 o CB2, si comportano alla stessa maniera degli endocannabinoidi, sono definite simil-cannabinoidi e svolgono un ruolo importante nel sistema GI, soprattuto nella prevenzione dell’insorgenza di fenomeni infiammatori. [14]
3. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE E L’OMEOSTASI GASTROINTESTINALE
Per ricavare nutrimento dal cibo ingerito, è necessario che esso venga metabolizzato. Seguendo il percorso del cibo lungo il tratto gastrointestinale possiamo renderci conto di come il Sistema Endocannabinoide sia in grado di regolare il sistema gastrointestinale.
3.1 STOP AL REFLUSSO
Dopo essere stato sminuzzato nella bocca, il cibo passa nell’esofago. Da qui, attraverso un’apertura elastica, lo sfintere esofageo, il cibo raggiunge lo stomaco. Il rilassamento dello sfintere esofageo è una delle principali cause del reflusso gastroesofageo, una patologia che, solo in Italia, colpisce una persona su tre almeno una volta al mese. [15]
In uno studio clinico del 2009 condotto su volontari sani, la somministrazione giornaliera di 10 o 20 milligrammi di THC fu in grado di diminuire il rilassamento dello sfintere esofageo e di conseguenza tutti i sintomi del reflusso. [16] Esperimenti su modelli animali hanno dimostrato che questo effetto é dovuto principalmente all’attivazione dei recettori CB1. [17]
3.2 UNA PROTEZIONE PER LO STOMACO
Una volta nello stomaco, il cibo viene ulteriormente ridotto di dimensioni dall’azione dell’acido cloridrico, secreto dalle cellule della parete gastrica. Una produzione anomala di acido cloridrico provoca il cosiddetto “bruciore allo stomaco” che, in casi gravi, può sfociare in gastriti o in una vera e propria ulcerazione, cioè una lesione della parete gastrica.
Già prima dell’identificazione dei recettori cannabinoidi, un gruppo di scienziati statunitensi notò che somministrando THC a ratti con ulcere gastriche prodotte da farmaci anti-infiammatori, si riduceva la secrezione gastrica e soprattutto il grado di formazione delle ulcere – evidenziando così l’effetto gastroprotettivo dei cannabinoidi. [18]
Il Sistema Endocannabinoide non protegge solo dalle ulcere provocate dai farmaci. Nel 2003, un gruppo di farmacologi dell’Università Federico II di Napoli ha scoperto che, in topi da laboratorio, l’attivazione del recettore CB1 era in grado di ridurre la secrezione gastrica indotta dalla tossina del colera. [19]
Un altro metodo per aumentare l’effetto gastroprotettivo degli endocannabinoidi consiste nel blocco dei loro sistemi di degradazione, in modo tale da prolungarne l’azione nel tempo. [20]
Un ulteriore effetto dell’attivazione del recettore CB1 nello stomaco è il rallentamento dello svuotamento gastrico. [21]
Questa azione del CB1 può essere sfruttata in caso di gastroparesi, una patologia cronica che consiste nella paralisi parziale dello stomaco, con conseguente ritardo dello svuotamento. Nelle persone che soffrono di gastroparesi, lo stomaco si svuota più lentamente e ciò può portare a perdita dall’appetito, nausea e anche vomito. Attualmente non esiste una cura specifica per tale patologia, ma l’utilizzo di farmaci che contrastano l’azione dei cannabinoidi, i cosiddetti antagonisti, potrebbe rivelarsi una strategia efficace.
3.3 I “FRENI” DELL’INTESTINO IRRITATO
Dallo stomaco il cibo deve poi percorrere tutto l’intestino, in modo tale che i nutrienti in esso contenuti vengano assorbiti, mentre gli eventuali scarti eliminati. Ciò avviene attraverso un movimento della parete intestinale definito peristalsi, una serie di contrazioni e rilassamenti che, come una pompa, spingono il cibo dal duodeno, la parte iniziale dell’intestino, al colon.
Un difetto di quella che viene definita anche motilità intestinale, è l’ipermotilità, una condizione di cui non si conoscono ancora bene le cause (di solito è associata ad un aumento dell’infiammazione intestinale) e che può portare ad uno scarso assorbimento del cibo e a condizione patologiche come l’intestino irritabile (IBS). La motilità intestinale è sotto il controllo diretto del Sistema Nervoso Enterico, una rete neuronale che funziona in maniera autonoma e su cui agisce il Sistema Endocannabinoide.
Nel 1978, in un articolo apparso sul Canadian Journal of Pharmacology, venne presentato uno studio che mostrava come il THC fosse in grado di ridurre la motilità intestinale nei porcellini d’India. [22]
Trenta anni dopo uno studio in collaborazione tra l’Università di Napoli e quella di Palermo ha dimostrato che anche il cannabidiolo (CBD), un cannabinoide non psicotropo presente nella pianta di Cannabis, era in grado di ridurre l’ipermotilità intestinale indotta dall’infiammazione nei topi da laboratorio. [23]
L’azione di questi fitocannabinoidi, come anche quella degli endocannabinoidi e dei cannabinoidi sintetici, è dovuta principalmente alla stimolazione dei recettori CB1 presenti a livello del Sistema Nervoso Enterico. [24] Una volta attivati, i CB1 riducono il rilascio di acetilcolina (ACh) dai nervi enterici e ciò, insieme ad altri meccanismi non del tutto chiariti, provoca una diminuzione della contrattilità intestinale e quindi della motilità. [25]
Non a caso, nell’Handbook of Experimental Pharmacology, uno dei più autorevoli giornali di farmacologia del mondo, i recettori CB1 vengono definiti i “freni” fisiologici del sistema gastrointestinale. [26]
3.4 L’INTERAZIONE CON I BATTERI BUONI
Nell’intestino il cibo ingerito viene a contatto con il microbiota, ovvero con i miliardi di microorganismi – per lo più batteri, ma anche lieviti, virus e altri – che risiedono stabilmente nel nostro organismo e in quello di altri animali e che, con un atteggiamento di mutua cooperazione, aiutano nei processi di degradazione e assorbimento del cibo e di protezione contro le infezioni. [27]
Il Sistema Endocannabionoide è in grado di modulare la composizione del microbiota e, di conseguenza, il suo impatto sulla fisiologia gastrointestinale. Il meccanismo alla base dell’interazione tra il Sistema Endocannabinoide e il microbiota è ancora poco conosciuto.
Uno studio effettuato in collaborazione tra vari enti di ricerca europei, in cui sono stati utilizzati topi con una modificazione genetica che induceva l’obesità, ha evidenziato che l’attivazione dell’ECS da parte del microbiota -attraverso un meccanismo poco chiaro – porta ad un incremento della massa grassa, come conseguenza di un aumento della permeabilità intestinale. [28]
Al contrario, bloccando il recettore CB1 si ha invece una riduzione dell’obesità e si modifica la composizione del microbiota, favorendo la presenza di specie batteriche protettive. [29] Anche i probiotici, micro-organismi che se somministrati nelle giuste quantità hanno effetti positivi sulla fisiopatologia intestinale, interagiscono con il Sistema Endocannabinoide gastrointestinale. [30]

In uno studio pubblicato su Nature Medicine è stato dimostrato che la somministrazione di probiotici a topi da laboratorio aumenta l’attività dei recettori CB2, e ciò è correlato con una diminuzione del dolore addominale e dell’ipersensibilità viscerale. [31]
Il Sistema Endocannabinoide e il microbiota sono quindi in grado di influenzarsi reciprocamente e, poiché i meccanismi di questa interazione sono ancora poco chiari, ulteriori ricerche potrebbero identificare nuovi bersagli farmacologici in patologie come l’obesità e le sindromi metaboliche.
4. MANGIARE È UN PIACERE
Fin qui abbiamo descritto il destino del cibo nel sistema gastrointestinale, dalla sua assunzione al suo assorbimento. Per far sì che tutto ciò avvenga, però, è necessario mangiare!
Si deve, cioè, avvertire quel senso di fame che spinge uomini e animali, allo stesso modo, a mettersi alla ricerca di qualcosa da ingerire per sopperire alle esigenze metaboliche dell’organismo, che richiedono un consumo di energia, la quale viene appunto fornita dal cibo. Gli anglofoni definiscono questo processo feeding behaviour – comportamento alimentare in Italiano.
Già dai tempi antichi è noto che l’ingestione di Cannabis, così come l’abitudine di fumarla, provochi un aumento dell‘appetito, definito “fame chimica” o “munchies”. Mentre in passato alcuni ritenevano che la fame chimica fosse solo una suggestione dovuta all’inebriamento causato dalla Cannabis, gli scienziati hanno scoperto che questo effetto è reale e dipende da vari meccanismi, sia centrali che periferici.
Verso la fine degli anni ’90 è stato chiaramente dimostrato che gli endocannabinoidi, così come i fitocannabinoidi, erano in grado di stimolare l’appetito attraverso l’attivazione del recettore CB1, ma il meccanismo con cui ciò avviene è stato chiarito (almeno in parte) solo in tempi più recenti. [32]
4.1 SONO I NEURONI I VERI BUONGUSTAI…
Uno dei meccanismi con cui il Sistema Endocannabinoide stimola la fame nel nostro cervello è stato scoperto da un team di ricercatori francesi guidati dall’italiano Giovanni Marsicano. Nel loro studio, i ricercatori hanno somministrato THC a topi di laboratorio e hanno visto che essi mangiavano di più e, caso strano, avevano una maggiore sensibilità agli odori. A questo punto gli scienziati hanno pensato di usare topi modificati geneticamente, in cui il recettore CB1 presente a livello dei neuroni del bulbo olfattivo fosse inattivo. Cosa è successo poi? Ebbene sì, in questi animali modificati geneticamente, il THC non induceva il senso di fame. [33]
L’anno successivo, nel 2015, la celebre rivista Nature pubblica un altro studio su questo argomento che mette in luce un meccanismo “paradossale” attraverso cui il Sistema Endocannabinoide regola la fame. [34] Gli scienziati dell’Università di Yale, in USA, hanno infatti studiato l’effetto dell’attivazione del recettore CB1, sui cosiddetti neuroni pro-opiomelanocortinici (POMC). Questi neuroni si attivano quando si è sazi, riducendo il senso di appetito. Gli scienziati si aspettavano quindi che attivando il CB1, notoriamente oressizzante (che aumenta l’appetito), si ottenesse una riduzione dell’attività dei neuroni POMC. In realtà avvenne il contrario, con sommo stupore dei ricercatori, i quali però, senza perdersi d’animo, analizzarono più approfonditamente i loro dati e scoprirono che i neuroni POMC, in condizioni normali, rilasciano 2 sostanze: un ormone chiamato α-Melanocyte-stimulating hormone con effetto anoressizzante, che blocca cioè l’appetito, e un neurotrasmettitore chiamato beta endorfina, sostanza che provoca un’elevata sensazione di benessere (agisce sugli stessi recettori per gli oppiodi, ndr).
Quando però i neuroni POMC, come nell’esperimento, vengono attivati dai cannabinoidi, essi rilasciano solo la beta endorfina e di conseguenza non si ha più l’effetto anoressizzante dell’ormone -ma solo la sensazione piacevole rilasciata dalla beta endorfina- e l’appetito non viene bloccato. [35]
Questa ricerca ed altre simili evidenziano il ruolo degli endocannabinoidi in quella che viene da qualche tempo definita dagli scienziati “fame edonistica”, ovvero la ricerca di cibo come piacere, non come esigenza.
Significativo in questo senso è un lavoro apparso nel 2012 sulla rivista Neuropharmacology: ad alcuni topi veniva somministrato come cibo dello zucchero, in presenza o meno di THC; sebbene in entrambi i gruppi il THC non influenzava la quantità di zucchero assunta, i topi che avevano ricevuto il THC mostravano una reazione “edonistica” al cibo (erano più inclini degli altri a leccarsi le zampe o i baffi in segno di piacere) e nel loro cervello aumentava la concentrazione di dopamina, neurotrasmettitore coinvolto nei meccanismi di gratificazione e ricompensa; questi effetti indotti dal THC, venivano aboliti in presenza di un antagonista del recettore CB1. [36]
Ciò indica, come sottolineato anche da ulteriori ricerche, che il Sistema Endocannabinoide è coinvolto nella percezione del “gradimento” o meno di un determinato cibo.

5. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE È ESSENZIALE PER L’EQUILIBRIO ENERGETICO
Il Sistema Endocannabinoide agisce anche sul sistema “classico” di controllo della fame -dagli scienziati definita fame omeostatica-, ovvero il sistema grelina/leptina.
Questi due sostanze sono ormoni prodotti dallo stomaco e dalle cellule adipose, rispettivamente, in risposta alle esigenze metaboliche dell’organismo. Una volta raggiunto l’ipotalamo, la regione del cervello deputata a mantenere l’equilibrio energetico, esse regolano l’appetito svolgendo azioni opposte: la grelina – la cui produzione raggiunge il picco subito prima di mangiare o quando si è a digiuno- è in grado di stimolare l’appetito, la leptina -la cui produzione è massima subito dopo aver mangiato- invece induce sazietà.
Nel sistema GI, l’attivazione del recettore CB1 provoca un incremento del rilascio di grelina nello stomaco, aumentando così il senso di fame. [37]
Nei modelli animali, sia la somministrazione di anandamide che di 2-arachidonilglicerolo aumenta il senso di fame, effetto che viene abolito se si bloccano i recettori CB1 presenti sui cosiddetti neuroni “sensibili alla capsaicina” intestinali (TRPV1), suggerendo che questi neuroni sono coinvolti nella sensazione d’appetito. [38] ; [39]
Anche nell’ipotalamo la presenza di grelina aumenta il contenuto di endocannabinoidi e ciò contribuisce ad aumentare l’appetito; al contrario, il blocco del recettore CB1 in questa regione del cervello diminuisce l’effetto oressizzante della grelina e ciò indica che il Sistema Endocannabinoide è essenziale per avvertire il senso di fame, anche in condizioni fisiologiche, cioè al di là del meccanismo “edonistico” di ricerca del cibo. [40]
Anche nell’interazione con la leptina gli endocannabinoidi svolgono un ruolo essenziale.
Nel 2001 il professor Vincenzo Di Marzo, coordinatore dell’Endocannabinoid Research Group in Campania e uno dei massimi esperti mondiali sul tema, in un importante studio pubblicato su Nature, dimostrò che uno dei principali meccanismi che regolano il food intake prevede la regolazione della quantità di endocannabinoidi presenti nel cervello da parte della leptina: al termine di un pasto, quando si è sazi, la concentrazione di leptina nell’ipotalamo raggiunge i suoi picchi massimi e ciò provoca una riduzione dei livelli di endocannabinoidi presenti, diminuendo in questo modo il senso di fame, cosa che non avviene in presenza di un antagonista del recettore CB1; ciò indica che, ancora una volta, attraverso l’attivazione del recettore CB1, gli endocannabinoidi sono in grado di regolare il nostro appetito. [41]

VINCENZO DI MARZO
COORDINATORE DELL’ENDOCANNABINOID RESEARCH GROUP IN CAMPANIA
6. PERCHÉ QUANDO SIETE INSONNI AVETE FAME
Un’altra classe di molecole coinvolte nella regolazione dell’appetito sono le oressine (anche chiamate ipocretine), neurotrasmettitori presenti soprattutto nei neuroni ipotalamici dove, al contrario degli endocannabinoidi, svolgono un ruolo eccitatorio. [42]
Il ruolo delle oressine è principalmente quello di regolare il ritmo sonno-veglia e il bilancio energetico, ma esse regolano anche il senso di appetito -come suggerisce il nome-, infatti l’attivazione dei recettori per le oressine (OX1 e OX2) aumenta l’ingestione di cibo. [43]
Studi anatomici hanno dimostrato che i recettori per le oressine si sovrappongono ai recettori CB1 in molte aree del cervello e ciò suggerisce un ruolo comune almeno in alcune azioni fisiologiche. [44]
Nei modelli animali di obesità, in cui il sistema grelinaleptina è compromesso, si ha un aumento della concentrazione delle oressine nel cervello che a sua volta induce -attraverso la stimolazione del recettore OX1- un aumento della concentrazione di endocannabinoidi e ciò, probabilmente, contribuisce ad esacerbare la condizione di obesità. [45] ; [46] Inoltre, bloccando il recettore CB1 si inibisce l’aumento di appetito indotto delle oressine. [47]
Da notare che l’aumento della fame indotto dalle oressine è correlato ad un aumento dell’attività locomotoria e dell’insonnia. Ciò sembra suggerire che la funzione principale di questo sistema sia quella di mettere l’organismo in uno stato di allerta e prepararlo alla ricerca del cibo, quando questo scarseggia.
Da parte sua, il Sistema Endocannabinoide invece prepara l’organismo al nutrimento e sembra anche che lo ricompensi, aumentando il piacere derivante dall’assunzione di cibo.
In ogni caso, aumentare l’appetito può essere un effetto importante e desiderato in pazienti immunocompromessi, sottoposti a chemioterapia o in pazienti psichiatrici come quelli affetti da anoressia nervosa e sfruttare il Sistema Endocannabinoide in questo senso può rivelarsi un’utile strategia terapeutica.
7. IN CONCLUSIONE
In questo articolo abbiamo visto come il Sistema Endocannabinoide abbia una massiccia presenza nel tratto gastrointestinale e come esso sia coinvolto nella regolazione di importanti funzioni, dalla sensazione di fame all’assorbimento dei nutrienti del cibo.
Agire su uno di questi meccanismi attraverso l’uso di fitocannabinoidi, farmaci cannabinoidi-simili, antagonisti o farmaci che interferiscono con la biosintesi o la degradazione degli endocannabinoidi potrà rivelarsi una strategia efficace nel trattamento di numerosi disturbi gastrointestinali, dai disordini funzionali all’obesità, dall’infiammazione cronica ai disturbi della motilità.
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