Dolore e endocannabinoidi: parola al neurofarmacologo

Numerose evidenze scientifiche dimostrano che gli endocannabinoidi inducono una riduzione del dolore.

In sintesi:

  • Storicamente i fitocannabinoidi sono stati studiati dettagliatamente per diverse proprietà medicinali, in particular modo come analgesici.
  • Evidenze convincenti dimostrano che i cannabinoidi diminuiscono l’allodinia termale e meccanica, dimostrando il loro ruolo nel trattamento del dolore neuropatico.
  • Il mediatore principale dell’effetto antidolorifico è il recettore cannabinoide CB1, con una distribuzione anatomica nei principali centri del dolore. Altri target sono però coinvolti in questi effetti.
INDICE

1. ENDOCANNABINOIDI E PATOLOGIE DEL SISTEMA NERVOSO: PERCHÉ PARLARNE

Negli ultimi anni diversi studi hanno dimostrato che i derivati della Cannabis possono avere un ruolo nel trattamento di sintomi correlati a patologie del Sistema Nervoso.

La Cannabis Sativa è tra le più antiche specie botaniche note al genere umano e vanta una lunghissima storia di uso e di abuso per scopi ricreativi, terapeutici e religiosi. Abbiamo approfondito l’argomento in questo articolo: Che cos’è la Cannabis Medica?

Dalla Cannabis sono stati isolati ed identificati oltre 500 composti, ma le sue proprietà farmaco terapeutiche e psicotrope sono state attribuite principalmente al delta-9-tetraidrocannabinolo (Δ–THC), un composto psicoattivo che, insieme ad altri composti lipidici, quali cannabidiolo (CBD) e cannabinolo (CBN), sono concentrati nella resina della pianta.

Date le numerose proprietà di questa pianta, considerata una vera e propria erba medica, sono state condotte numerose ricerche al fine di individuare le basi molecolari dei suoi effetti farmacologici. Questi studi, supportati dalle tecniche di biologia molecolare e di cristallografia, hanno portato all’identificazione e alla clonazione di due recettori (proteine di membrana con le quali interagisce il THC) che vengono legati ai cannabinoidi naturali e che, quindi, sono presumibilmente responsabili del loro effetto.

Il corpo umano possiede specifici siti di legame per i cannabinoidi, distribuiti sulla superficie di molti tipi di cellule. Il nostro organismo produce i loro ligandi endogeni, chiamati endocannabinoidi, i quali si legano proprio ai recettori cannabinoidi (CB), attivandoli.

La presenza dei recettori nell’organismo ha reso lecita, dunque, l’ipotesi che l’organismo stesso sia in grado di produrre dei ligandi, ovvero delle sostanze che, in maniera fisiologica, interagiscono con i suddetti recettori. La conferma è derivata dal successivo isolamento di ligandi endogeni (sostanze generate dai nostri corpi) per i recettori dei cannabinoidi, chiamati appunto endocannabinoidi.

2. LA FISIOLOGIA DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE NELLA PERCEZIONE DEL DOLORE

Il Sistema Endocannabinoide è un complesso sistema endogeno di comunicazione tra cellule. Esso è composto da recettori cannabinoidi (chiamati CB1 e CB2), i loro ligandi endogeni (gli endocannabinoidi) e le proteine coinvolte nel metabolismo (sintesi e degradazione) e nel trasporto degli endocannabinoidi. [1]

In base alla localizzazione dei recettori cannabinoidi nell’organismo è stato ipotizzato che il Sistema Endocannabinoide sia coinvolto in un gran numero di processi fisiologici, tra i quali:

  • il controllo motorio
  • la memoria e l’apprendimento
  • la percezione del dolore
  • la regolazione dell’equilibrio energetico
  • l’assunzione di cibo e i ritmi sonno/veglia

I recettori CB1 sono prevalentemente espressi nel Sistema Nervoso Centrale (SNC) in particolare nel: [2] ; [3]

  • sistema limbico (coinvolto nei processi di memorizzazione e nel controllo di stati emotivi quali rabbia, desiderio e paura)
  • gangli basali (centri preposti al controllo della motilità involontaria che comprendono le strutture cerebrali della substantia nigraglobo pallidonucleo caudato e putamen)
  • cervelletto (parte del sistema nervoso che controlla equilibrio e coordinazione dei movimenti volontari)
  • lamine delle corna dorsali del midollo spinale (ricezione degli stimoli).
  • porzione ventro-laterale dell’area grigia periacqueduttale (VL_PAG), area responsabile della modulazione del dolore

I recettori CB2 invece sono localizzati nella periferia. In particolare:

  • sulle cellule B e NK del sistema immunitario [4]

Questi recettori contribuiscono all’effetto immunosoppressivo e antiinfiammatorio dei cannabinoidi in quanto modulano il rilascio di citochine.
Inoltre i recettori CB2 sono espressi da cellule immunitarie residenti nel Sistema Nervoso Centrale chiamate microglia e, quando stimolati, riducono le forme proinfiammatorie di tali cellule, risultando in una riduzione del dolore cronico [5].

Scienziati hanno descritto come l’attivazione di CB2 porti al rilascio di endorfine da parte dei cheratinociti (le cellule della pelle), che agiscono tramite la via oppiode dei recettori μ, contribuendo all’effetto analgesico[6]

Fig.1: Rappresentazione schematica della membrana cellulare con recettori cannabinoidi e i due principali endocannabinoidi (Fonte: Corso Sistema Endocannabinoide)

3. GLI ENDOCANNABINOIDI RIDUCONO IL DOLORE

I ligandi endogeni vengono sintetizzati a partire da precursori fosfolipidici contenuti presumilbilmente nella membrana cellulare. Essi vengono rilasciati all’esterno della cellula solo quando questa è stimolata, quindi a differenza degli altri neurotrasmettitori non vengono rilasciati dalle vescicole sinaptiche [7].

Nel 1992 Raphael Mechoulam e i suoi collaboratori identificarono l’ arachidoniletanolamide, che fu chiamata anandamide (AEA), dal termine Ananda che significa “stato di grazia” o anche “beatitudine eterna”, e definirono tale molecola come il primo composto endogeno che lega il recettore CB1 con elevata affinità [8]. Nel 1995 fu identificato il secondo endocannabinoide il 2-arachidonilglicerolo (2-AG), che è più abbondante dell’Anandamide nel cervello [9]. Sia la sintesi che la degradazione degli endocannabinoidi avviene ad opera di alcuni enzimi.

Gli endocannabinoidi vengono prodotti per proteggere l’organismo da danni causati da varie situazioni patologiche esercitando azione anti-ossidativa, immunosoppressiva, antinfiammatoria e, in particolare, analgesica legandosi ai recettori CB1 e CB2 [10]; è stato dimostrato che essi riducono i sintomi del dolore persistente, l’allodinia e l’iperalgesia [11].

4. IL DOLORE COME PATOLOGIA NEUROLOGICA/NEUROPSICHIATRICA

La percezione del dolore è un meccanismo critico dell’auto-difesa del corpo, permettendoci di interrompere il contatto con uno stimolo potenzialmente deteriorante.
Quando avvertiamo dolore in maniera cronica, spesso come conseguenza di una disfunzione nervosa o metabolica (per esempio nel caso del dolore neuropatico), è di fondamentale importanza trovare agenti in grado di targhetizzare le vie che lo producono.

Si stima che tra il 6.9% e il 10% della popolazione sviluppi una forma di dolore neuropatico, spesso come conseguenza di altre patologie (cancro, diabete etc) [12]. Nonostante le cause della problematica siano molteplici, la conseguenza è simile: iper-eccitazione del sistema nervoso e allodinia (la sensazione di dolore evocata da stimoli non nocivi).

Queste due sintomatologie dolorose, l‘allodinia e l’iperalgesia, sono definite in medicina “disestesie” (pensate ad una vera e propria “allucinazione tattile” che deriva da lesioni sul midollo spinale) o “parestesie” (formicolii locali e ipersensibilità), e rappresentano i sintomi che maggiormente limitano la qualità di vita del paziente affetto da dolore cronico, in particolare da dolore neuropatico.

L’iperalgesia non è altro che una percezione amplificata ad uno stimolo doloroso.
In molti casi è possibile descrivere una iperalgesia primaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici in corrispondenza dell’area di lesione tissutale) ed una secondaria (accentuata percezione degli stimoli dolorifici nelle zone circostanti l’area di lesione).

Lo stesso vale per l’allodinia, che invece è definita come una percezione dolorosa in seguito ad uno stimolo innocuo.
L’allodinia è un sintomo altamente limitante, in quanto è riferito dai pazienti come una scarica elettrica o una sensazione “tipo aghi che penetrano nel corpo” che arriva all’improvviso.

A queste sintomatologie dolorose si aggiungono una serie di cambiamenti neuropsichiatrici che vengono definiti in medicina “comorbidità”. Tali comorbidità quali ansia, depressione, disfunzioni cognitive e perdita di memoria, rendono il dolore neuropatico una vera e propria patologia neurologica/neuropsichiatrica che ad oggi non ha un adeguato trattamento farmacologico. 

 

5. DOLORE NEUROPATICO: DA COSA È CAUSATO

Il dolore neuropatico è causato da un danno spesso irreversibile che colpisce il sistema di percezione del dolore e compare dopo una lesione del Sistema Nervoso Centrale (cervello e midollo spinale) o del Sistema Nervoso Periferico (radici nervose, plessi, nervi). Ciò comporta fenomeni di riarrangiamento della comunicazione dei neuroni (plasticità neuronale), che rende la percezione di stimolazioni innocue come dolorose.

I processi che sostengono il dolore neuropatico possono venire raggruppati in due grandi categorie:

1) La genesi ectopica di impulsi nocicettivi.

Il termine ectopico deriva dal greco έκ τοπος e significa letteralmente “fuori dal luogo”.
Viene attribuito ai potenziali d’azione che si generano direttamente nelle fibre nervose senza che avvenga l’attivazione della terminazione nervosa corrispondente (ciò si osserva ad esempio anche nell’epilessia).
In altre parole questi sono impulsi elettrici anomali generati da assoni o gangli.

2) L’ ipersensibilità dei neuroni nocicettivi centrali

A livello del corno posteriore, del talamo e della corteccia sensitiva sono stati identificati due tipi di neuroni nocicettivi (ovvero, cellule del cervello deputate alla percezione del dolore, dal latino “nocere“).
In condizioni di normalità, questi due tipi di neuroni possiedono comportamenti differenti e ben identificati: [13]

  • Il primo, tradotto dall’inglese neurone nocicettivo specifico, è connesso perifericamente solo con fibre dolorose e risponde solo a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi)
  • Il secondo, tradotto dall’inglese neurone ad ampio spettro dinamico, risponde a stimoli di bassa intensità con basse frequenze di scarica e a stimoli di elevata intensità (stimoli dolorosi) con elevate frequenze di scarica.

In seguito a danni periferici (nervosi e non), i neuroni ad ampio spettro dinamico possono subire una modificazione della loro funzione ed iniziare a scaricare frequenze marcatamente nocicettive anche in seguito a stimoli normalmente non nocivi o a stimoli normalmente solo debolmente nocivi.

 

6. QUANDO SCEGLIERE UNA TERAPIA A BASE DI CANNABINOIDI?

Il dolore cronico, in generale, e neuropatico nello specifico, rappresentano oggi il primo target terapeutico per i medicinali a base di cannabinoidi.

L’efficacia analgesica dei cannabinoidi non è paragonabile a quella generata dagli oppioidi. Ad oggi non esistono farmaci con un potere analgesico superiore agli oppioidi.
Tuttavia esistono diverse forme di dolore, incluso il dolore neuropatico di diversa natura o anche patologie ancora non ben definite da un punto di vista eziopatologico come la fibromialgia, in cui l’impiego di oppioidi ha scarsa efficacia.

Questo effetto paradosso è dovuto a molteplici fattori, molti dei quali non sono ancora ben identificati.
In queste patologie, di contro, i cannabinoidi hanno una buona efficacia terapeutica.

Una delle ragioni può essere attribuita al fatto che le scariche spontanee che portano alla sensazione di dolore sono state localizzate principalmente nelle fibre mieliniche afferenti di tipo A, ricche in recettori cannabinoidi, ma non di recettori oppioidi. [14]

Studi clinici ancora non pubblicati riportano come la terapia a base di cannabinoidi generi una sorta di allontanamento del paziente dall’attesa del dolore. Tornando alla definizione che abbiamo dato di allodinia, una scarica elettrica improvvisa, capiamo che l’attesa di questo momento è determinante nella genesi di quelle comorbidità (ansia, depressione etc) che rendono nel loro insieme queste tipologie di dolore delle vere malattie.

I medicinali correntemente in uso per trattare il dolore sono ancora principalmente gli oppioidi, ma solo circa il 50% dei pazienti trova sollievo con tali cure, evidenziando come la clinica potrebbe beneficiare enormemente da medicinali orientati alla modulazione del tono cannabinoide[15]

Inoltre sembrerebbe che a livello sovraspinale esista un sinergismo tra i recettori oppioidi e cannabinoidi, indicando che l’analgesia da morfina può essere aumentata dai cannabinoidi.
L’utilizzo dei cannabinoidi riduce la necessità della morfina. Il THC è in grado di ridurre la dose minima efficace (ED50) della morfina del 55%, del metadone del 75% e della codeina del 96%. [16]

7. DOLORE E ENDOCANNABINOIDI: IL LORO FUNZIONANO NELL’ALLEVIARE IL DOLORE

Numerose evidenze scientifiche dimostrano che entrambi gli endocannabinoidi AEA e 2-AG inducono analgesia. [17]

L’effetto analgesico dei cannabinoidi è esplicato attraverso la stimolazione dei propri recettori CB1 e CB2, ma anche mediante il coinvolgimento di altri sistemi di neurotrasmissione come la noradrenalina, la serotonina, sistemi di natura peptidica (orexine, endorfine) e sistema purinergico (adenosina). Tuttavia i mediatori maggiormente modulati dai cannabinoidi sono: il glutammato, (che rappresenta l’aminoacido eccitatorio per eccellenza del nostro Sistema Nervoso Centrale), e l’acido gamma amino butirrico (GABA), che invece rappresenta l’aminoacido inibitorio più importante del nostro SNC.

A seguito di una lesione il livello di endocannabinoidi aumenta; questo avviene sia localmente, presso il sito dell’infiammazione, che sistematicamente su altri target della via del dolore.
Tale reazione è la prima risposta anti-dolorifica del corpo al dolore, ovvero sintetizzare più endocannabinoidi per un duplice obiettivo:

1) inibire la conduzione di terminali nervosi che stanno trasmettendo la sensazione di dolore

2) coinvolgere mediatori anti-infiammatori per ridurre il danno al sito della ferita

LA PAROLA AL RICERCATORE: PROSPETTIVE PER IL FUTURO

Lo scopo della ricerca di base e clinica è quello di:

  1. Identificare nuovi target farmacologici potenzialmente ascrivibili al Sistema Endocannabinoide
  2. Comprendere meglio i meccanismi d’azione dei composti presenti nella Cannabis e le possibili interazioni sinergiche tra i vari componenti attivi
  3. Comprendere le interazioni tra i cannabinoidi esogeni e quelli endogeni
  4. Identificare molecole che abbiano un effetto terapeutico con scarsi effetti collaterali o psicoattivi

In conclusione, il Sistema Endocannabinoide rappresenta uno strumento farmacologico estremamente importante per il trattamento di patologie cronico-degenerative come il dolore neuropatico e altre forme di dolore con componenti affettive ed emotive molto forti come la fibromialgia.

 

Per maggiori informazioni sulle varie patologie trattabili con Cannabis Terapeutica, clicca qui.

Il gruppo di ricercatori dell’ Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli. Immagine gentilmente fornita dal dr. Livio Luongo
Autore
Livio Luongo
Farmacologo

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Sistema Endocannabinoide

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