Cannabis nell’ansia da stress: svelato il meccanismo d’azione

Lo stress sembra essere una condizione inscindibile dalla vita quotidiana moderna. 

Stress causato da troppo o poco lavoro, dal traffico, dal continuo bombardamento di informazioni più o meno utili, dai ritmi frenetici imposti dalla nostra società. 

Stress causato dallo stare rinchiusi in casa con la paura di contagiarsi o dall’incertezza del futuro. 

Conviviamo con lo stress e, se alcuni sembrano essersi adattati a questa condizione, per altri può causare notevoli problemi: innanzitutto un’ansia spesso incontrollabile, che influisce negativamente sia sulla propria condizione psico-sociale che sulle relazioni interpersonali.

 

La Cannabis Sativa è stata da sempre proposta come rimedio anti-stress per ridurre l’ansia ma, sebbene la sua efficacia sembra essere in qualche modo accettata, i meccanismi cerebrali attraverso cui agisce risultano ancora poco chiari. 

Almeno fino alla recente pubblicazione di un lavoro davvero all’avanguardia sulla rivista Neuron, dove un gruppo di ricercatori statunitensi ha svelato uno dei possibili meccanismi attraverso cui il Sistema Endocannabinoide è coinvolto nella prevenzione dell’ansia da stress.

INDICE

1. STRESS E ANSIA

Lo stress è uno sbilanciamento del normale equilibrio di un organismo -l’omeostasi- causato da fattori sia esterni che interni, a cui l’individuo reagisce. 

In che modo? O cambiando l’equilibrio interno per adattarlo all’ambiente o modificando l’ambiente esterno per adattarlo alle proprie necessità. 

Lo stress non è quindi sempre un fattore negativo. Infatti, rientra in quella che viene definita Sindrome Generale di Adattamento, con cui l’individuo agisce alle sollecitazioni ambientali. 

Si può anzi considerare come un meccanismo difensivo filogeneticamente molto antico. Quando l’uomo viveva a contatto con una Natura a volte ostile, aveva necessità di reagire ad ogni minimo stimolo ed adattarsi immediatamente per riuscire a salvarsi la pelle. E’ stato così per migliaia di anni finché, con l’avvento della modernità, i pericoli naturali sono via via diminuiti. 

Non è diminuita però la capacità di reagire agli stimoli, solo che mentre prima lo stress era indotto ad esempio dall’odore di un predatore o da un rumore non riconosciuto e ci preparava alla fuga e quindi alla salvezza, adesso i cosiddetti stressor (fattori che inducono stress) sono più intangibili e più che prepararci alla fuga, possono indurre squilibri psico-fisici che in alcuni casi sfociano nei cosiddetti stati di ansia. 

E’ noto infatti che un fattore di stress prolungato nel tempo provoca l’instaurarsi di fenomeni ansiosi.

Come lo stress, anche l’ansia non è una condizione necessariamente negativa perché è il modo con cui il nostro organismo ci avverte che c’è qualcosa che non va. Spesso però ciò che non va è qualcosa al di fuori del nostro controllo e allora lo stato d’ansia non è più qualcosa di temporaneo e utile per reagire, ma diventa un disturbo cronico che influisce in maniera negativa sulle attività quotidiane.

Esempio lampante è ciò che stiamo vivendo negli ultimi mesi: il Covid-19 – fattore di stress- si è abbattuto quasi improvvisamente sulle nostre vite e ci ha costretto a cambiare abitudini. Oltre a non poter più muoverci liberamente, si è inserita anche la paura del contagio e tutto ciò in molte persone ha indotto un stato di ansia quotidiano, come spesso sottolineato da psicologi e psichiatri. 

Il legame tra stress e ansia è noto ormai da molto tempo. Più un fenomeno che causa stress è presente e duraturo, più è probabile sviluppare disturbi d’ansia. 

Anche le aree cerebrali coinvolte sono più o meno note. Si sa che l’amigdala -l’area deputata all’elaborazione della paura- è iper-attivata in condizioni di stress e che la sua segnalazione verso la corteccia pre-frontale -l’area adibita all’elaborazione di comportamenti cognitivi complessi- risulta essere aumentata.

Lo stress induce quindi un ”accoppiamento” tra l’amigdala e la corteccia pre-frontale. 

Il meccanismo endogeno alla base di questo accoppiamento -prima sconosciuto- è stato, almeno in parte, svelato da una nuova ricerca dal titolo “Il collasso della segnalazione endocannabinoide media il rafforzamento del circuito amigdala-corteccia indotto dallo stress” (Endocannabinoid Signaling Collapse Mediates Stress-Induced Amygdalo-Cortical Strengthening) pubblicata sul numero di marzo della celebre rivista Neuron.

2. LO STUDIO

I ricercatori statunitensi hanno utilizzato tecniche all’avanguardia, come l’optogenetica (una combinazione di tecniche ottiche e manipolazione genetica), per dimostrare che l’endocannabinoide 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) collega l’amigdala con la corteccia pre-frontale e che lo stress induce una diminuzione della sua espressione, correlata allo sviluppo di stati d’ansia.

Nel loro studio, gli autori hanno per prima cosa dimostrato che, negli animali da laboratorio, uno stress imprevedibile causava aumento di calcio e quindi attivazione, nei neuroni dell’amigdala che innervano la corteccia pre-frontale. Dopo 24h dallo stimolo stressogeno (uno shock alla zampa), test comportamentali hanno evidenziato che gli animali sviluppavano stati di ansia.

Per dimostrare che l’accoppiamento neuronale tra amigdala e corteccia causasse effettivamente lo sviluppo di ansia, i ricercatori hanno attivato queste aree mediante esperimenti di optogenetica e il risultato è stato che, dopo 24h, anche in questo caso i topi sviluppavano ansia. In particolare, è stato osservato che erano i neuroni glutammatergici che proiettano dall’amigdala alla corteccia a essere stati iper-attivati.

Poiché l’aumento di segnalazione glutammatergica era di origine pre-sinaptica e gli endocannabinoidi agiscono proprio a questo livello, i ricercatori si sono chiesti se gli endocannabinoidi anandamide e 2-AG fossero coinvolti in questa azione. Attraverso l’uso di antagonisti del recettore CB1, inibitori della degradazione di questi endocannabinoidi ed esperimenti di depolarizzazione neuronale, si è visto che è il 2-AG, piuttosto che l’anandamide, a controllare la trasmissione glutammatergica.

Esperimenti di spettrometria di massa hanno poi effettivamente determinato che il 2-AG diminuisce in condizioni di stress. Ad ulteriore conferma di ciò, animali modificati geneticamente che non esprimono l’enzima DAGL -che sintetizza il 2-AG- sviluppano spontaneamente stati ansiosi simili a quelli indotti dallo stress.

Infine, anche l’inibizione o la delezione genetica del recettore CB1 induceva effetti simili agli stimoli stressogeni.

3. LA CANNABIS PER IL TRATTAMENTO DELL’ANSIA?

Attraverso questo studio molto ben disegnato e utilizzando tecniche innovative, gli autori hanno dimostrato che lo stress induce un “collasso” dell’attività dell’endocannabinoide 2-AG tra l’amigdala e la corteccia pre-frontale e ciò induce stress che, se prolungato nel tempo, può sfociare in comportamenti ansiosi.

Secondo gli autori dello studio “questi dati suggeriscono che il potenziamento della segnalazione del 2-AG mediata dai recettori CB1, ad esempio mediante inibizione dell’enzima che degrada il 2-AG (MAGL), potrebbe rappresentare un approccio terapeutico attraente per il trattamento di disturbi psichiatrici indotti da stress”.

Questa ricerca sembra quindi confermare ciò che sia report aneddotici sia ricerche scientifiche indicano da tempo: la Cannabis sembra essere utile nel trattamento di disturbi dell’ansia.

Il ruolo degli endocannabinoidi è molto importante nel mantenimento di complessi processi omeostatici cerebrali. Infatti, è consolidato il loro ruolo in aree cerebrali deputate all’integrazione degli stimoli esterni, degli stati d’ansia e degli eventi spiacevoli emotivi-sensoriali, come anche nelle sequele centrali associate al dolore cronico

commenta Livio Luongo, professore di farmacologia, membro della Società Italiana di Farmacologia (SIF) e recente autore di una ricerca che ha identificato quattro nuovi fitocannabinoidi nella Cannabis sativa (per un approfondimento, leggi Cannabis, identificati quattro nuovi fitocannabinoidi: una scoperta tutta italiana )

Livio Luongo, neurofarmacologo

Lo studio è interessante, anche se molto tecnico e prende in considerazione un circuito specifico, quello che dall’amigdala va alla corteccia. Dai dati si evince che alcuni componenti della Cannabis sativa potrebbero essere utilizzati, a concentrazioni opportune, in determinati stati d’ansia. Un esempio interessante in questo senso è dato dal Cannabidiolo (CBD), un fitocannabinoide molto utilizzato attualmente per il trattamento di sintomatologie associate a stati d’ansia.

Infatti, vari studi hanno mostrato che il CBD, piuttosto che il THC, sembra essere il componente ansiolitico della Cannabis, anche se il suo effetto è dose-dipendente.

Quindi, stimolare il Sistema Endocannabinoide -anche attraverso l’utilizzo di Cannabis- sembra essere una buona strategia per combattere l’ansia da stress. 

Alcuni dubbi però non sono stati del tutto chiariti.

Bisogna ancora appurare, infatti, perché non tutti gli individui sviluppano ansia se sottoposti a stress. Ci potrebbero essere infatti altri circuiti che compensano la diminuzione della segnalazione del 2-AG, che in alcuni individui sono più funzionali che in altri. 

Inoltre questi dati, seppur molto interessanti, devono essere confermati anche in esperimenti sull’uomo. 

Ciò che invece è stato ulteriormente messo in evidenza da questa ricerca -se ancora ce ne fosse bisogno- è il ruolo chiave che il Sistema Endocannabinoide svolge nel regolare importanti funzioni dell’organismo, specialmente funzioni

comportamentali. 

4. REFERENZE

Autore
Fabio Turco
Neurogastrocannabinologo - Chimico Farmaceutico

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Sistema Endocannabinoide

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