Cannabaceae: cannabis e luppolo al confronto botanico con la vite - Cannabiscienza

Cannabis, luppolo e vite: un confronto botanico

La storia della cannabis comincia molto prima di quella umana. Durante il suo percorso evoluzionistico, la pianta di Cannabis (appartenente alla famiglia delle Cannabaceae insieme al luppolo) si è adattata sia alla volontà umana che al cambiamento climatico, nello sforzo di conquistare più terra possibile.
Le forme selvatiche di CannabisHumulus (luppolo) e Vitis (vite) somigliano oggigiorno molto poco a quelle che si producono a fini commerciali, soprattutto a causa delle influenze umane.

INDICE

1. VITACEAE E CANNABACEAE: LA TASSONOMIA

La tassonomia della pianta di Cannabis è un argomento piuttosto dibattuto in ambito scientifico. Ad oggi viene considerata una pianta che appartiene alla famiglia delle Cannabaceae, una piccola famiglia di piante composta da soli due generi: Cannabis, per l’appunto, e Humulus.

Alternativamente, la Cannabis è stata assegnata alla famiglia delle Moraceae, delle Urticaceae e delle Celtidaceae, come recentemente riassunto da un esauriente articolo in letteratura del dr. Ethan Russo. [1]

Il genere della Cannabis (o canapa, come viene chiamata nelle produzioni industriali) comprende due specie (Cannabis Sativa e C. Indica) e una specie presunta (C. Ruderalis). Recenti studi scientifici hanno identificato il contenuto totale di terpenoidi come il marker più convincente per la distinzione chemotassonomica tra speci sativa e indica[2]

L’ Humulus (meglio conosciuto come luppolo) include tre specie: H. LupulusH. Scandens, e H. Yunnanensis.

La vite (Vitis) è un membro della famiglia delle Vitaceae.

 

2. DIFFERENZE E SIMILITUDINI NELLA FAMIGLIA DELLE CANNABACEAE

Possiamo trovare molte differenze fra Cannabis e Humulus, a partire dal loro modello di crescita (eretto vs rampicante) fino alla forma della foglia (a forma di mano vs a forma di ragnatela o di cuore); e ancora in merito alla forma dell’infiorescenza femminile (racemo lungo e compatto vs strobilo conico) e ai metaboliti secondari che vengono generati in seguito all’assunzione di queste piante nel nostro organismo (cannabinoidi aromatici contenenti ossigeno vs alfa-acidi amari).

I due generi condividono molte caratteristiche anatomiche:

  •  Tutte le specie di Cannabaceae sono eliotropiche, dioiche e anemofile. Questo significa che sia la Cannabis che l’Humulus preferiscono habitat soleggiati in cui l’impollinazione è favorita dal vento ed entrambi generano esemplari maschili e femminili.
  • Molto probabilmente la Cannabis ha sviluppato la sua crescita verticale, il suo ridotto numero di foglie e un’intensa ramificazione, perché si è adattata ad ambienti boscosi aperti o simil-steppa.
  • Anche i rampicanti di Humulus richiedono l’impollinazione tramite il vento: per ottenere l’esposizione ad esso era necessario arrampicarsi sulla vegetazione circostante; probabilmente l’Humulus si è evoluto alla periferia di ambienti boschivi esposti al sole, ben distribuito lungo i corsi di acqua, esattamente nella stessa sorta di nicchia ecologica aperta in cui cresce spontaneamente la Cannabis selvatica di oggi. [3]

Nel 1772 le similitudini fra Humulus e Cannabis suggerirono ad un botanico italiano (Giovanni Antonio Scopoli) di considerare il luppolo comune come un tipo di Cannabis, cambiandogli perciò nome in Cannabis Lupulus, nome che fu poi rifiutato e cambiato da altri botanici negli anni successivi. [4]

Evidenze scientifiche riportano campioni di fossili di polline associati con le speci ecologiche della steppa correlate alla Cannabis e all’Humulus, constatando che nonostante la Cannabis abbia avuto origine sull’altopiano Tibetano 19.6 milioni di anni fa, questa pianta è stata indigena in Europa per almeno un milione di anni. [5]

Pur non appartenendo alla famiglia delle Cannabaceae, similmente a Cannabis e Humulus, le viti selvatiche sono anch’esse dioiche e impollinate tramite il vento, con dispersione mediata dai volatili; anche se tuttavia, le viti coltivate oggi, a causa dell’ “addomesticamento” umano, sono diventate ermafroditi auto-impollinanti.

 

3. EVOLUZIONE DELLE PIANTE CANNABACEAE

L’Humulus usa tricomi uncinati per risalire sui substrati circostanti e per creare una tensione opponente tra stelo e superficie d’arrampicamento; usando le coppie di stipole che si trovano alla base di ogni picciolo in ciascuna foglia si assicura tenacemente al proprio supporto. [6]

Possiamo interpretare questo meccanismo come un fenomeno di adattamento finemente specializzato: poiché sia la Cannabis che l’Humulus si sono probabilmente evoluti in ambienti assolati, il tipo di crescita verticale è probabilmente comparso per primo, mentre il tipo rampicante può essersi evoluto in seguito, come adattamento a una nicchia periferica più specializzata. Forse la vite (o lo stesso Humulus) si è evoluta come risultato della competizione con la Cannabis, che stava colonizzando molto bene l’habitat favorevole per entrambe.

 

Tricoma ghiandolare – Cannabis

Tricoma uncinato – Luppolo

4. DOVE COMINCIÒ L’INTERFERENZA UMANA?

Humulus, Cannabis e Vitis condividono interazioni di lunga durata con la specie umana, grazie alle loro spiccate qualità economiche, terapeutiche e ricreative.

La maggior parte dell’Humulus coltivato oggi è destinato all’industria della birra, in cui solo le inflorescenze femminili (cresciute in assenza di impollinatori maschi) sono utilizzabili a fini commerciali come conservanti e antisettici per la birra. [7]

Le varietà di H. Lupulus coltivate hanno variazioni morfologiche limitate rispetto a quelle di Cannabis e hanno un patrimonio genetico più ristretto. Questo è il risultato del processo umano di selezione fenotipica, individuando prima gli esemplari per il loro valore terapeutico e per la fermentazione della birra poi.
Il luppolo coltivato ha seguito una storia evoluzionistica caratterizzata da un’iniziale espansione genomica tramite inseminazione, seguita dalla riproduzione clonale asessuata di fenotipi vantaggiosi per i coltivatori.

D’altro canto, tradizionalmente la Cannabis è stata propagata tramite semi. Solo alla fine del ventesimo secolo, con l’introduzione della produzione domestica indoor di Cannabis e la richiesta di specie standardizzate per il mercato farmaceutico, la riproduzione asessuata ha preso il sopravvento. [8]

 

5. EVOLUZIONE DELLA VITE COME MODELLO PER LA CANNABIS

Per capire ancora meglio il possibile prossimo futuro evoluzionistico della Cannabis, è utile rivedere l’evoluzione biologica e domestica della vite comune (Vitis Vinifera), poiché il suo processo di “addomesticamento” è stato molto più intenso.

Nel caso della vite, l’addomesticamento ha portato numerosi cambiamenti, come frutti molto più grossi e un più alto contenuto in zuccheri.

La selezione operata per ottenere raccolti più ingenti e un maggior contenuto in zuccheri ha portato anche a cambiamenti del colore e della misura dei chicchi, così come a un cambiamento cruciale dalla sessualità, da dioica a ermafrodita. [9] [10]

Le modalità sessuali riscontrate nella canapa coltivata ricordano molto quelle della vite. 
La cannabis selvatica è dioica (f/m), ma dal punto di vista della produzione delle fibre, i maschi non sono desiderabili perché tendono a morire subito dopo la fioritura e comunque molto prima delle femmine.
La selezione operata dall’uomo ha quindi fatto in modo di ottenere varietà di fibre monoiche (ermafrodite) oppure varietà in cui entrambi i sessi maturino contemporaneamente per ottimizzare il raccolto da fibra. [11]

É importante capire che il numero totale dei geni della Cannabis potrebbe diminuire ulteriormente a causa della graduale esclusione delle linee clonali economicamente sfavorevoli e sono numerosi i potenziali svantaggi a lungo termine di questa pratica.

Quando, a causa della preponderante riproduzione asessuata, il numero di geni diminuisce fino al valore che equivale a un “collo di bottiglia genetico”, la capacità della specie di adattarsi all’ambiente diminuisce drasticamente e aumenta quindi la sua suscettibilità alle malattie, agli insetti e a tutti gli stimoli ambientali sfavorevoli.

La vite è stata a lungo propagata per talea, ma l’utilizzo di questo metodo (ossia far riprodurre la pianta tramite il radicamento di un frammento della stessa) è un’arma a doppio taglio.
Nonostante porti a dei benefici come il fatto di ottenere una razza pura, scoraggia la produzione di specie uniche tramite incroci. [12]

Le viti sia da tavola che da vino ricevono oggi intensi trattamenti chimici per combattere le pressioni patogene: la sostenibilità della loro produzione dipenderà esclusivamente dalla capacità di sfruttare la naturale diversità genetica di queste piante e ottenere specie naturalmente resistenti ai patogeni ambientali. 

Sfortunatamente, oggi l’unica vera forma di vite selvatica, V. Vinifera sup. Silvestris, è relativamente rara.
Al contrario, a differenza di altre piante domestiche, la Cannabis sembra che cresca ancora selvaticamente in alcune parti dell’Asia, in raggruppamenti che presentano una forte variabilità genetica.

Sotto la pressione selettiva operata dall’uomo, anche la Cannabis ha cominciato a rivelare combinazioni di caratteri mai visti nelle popolazioni selvatiche. [13]

Questo fenomeno, cominciato per ottenere la massima produzione di Tetraidrocannabinolo (THC) -guidato dagli interessi commerciali del mercato nero a fini ricreativi- ha adesso preso la via della selezione di pochi ma ben studiati chemotipi che permettano la produzione di farmaci standardizzati per le terapie mediche.
Perciò, insieme alla selezione della Cannabis per applicazioni mediche, la pratica agricola dovrebbe mantenere costantemente incroci e la variabilità genetica, per evitare le problematiche che hanno interessato altre specie addomesticate.

 

6. CONSIDERAZIONI FINALI SULLE CANNABACEAE

L’ambiente, il desiderio umano e le forze economiche continueranno a modellare drasticamente il patrimonio genetico di queste specie in futuro.

Una miglior comprensione della Vitis e dell’Humulus ci permetterà di guardare più a fondo sul possibile futuro evoluzionistico della Cannabis e di avere una consapevolezza maggiore per quanto riguarda le manipolazioni future: lo scopo dovrebbe essere quello di soddisfare sia le necessità del mercato che la sostenibilità ecologica.

La plasticità del genoma della Cannabis, ottenibile anche utilizzando speci di lieviti (come dimostrato da Russo, 2019), suggerisce però una realtà che previene la necessità per la manipolazione genetica della Cannabis, provando, ancora una volta che “la pianta fa meglio”.

Autore
Andrea Cristofoletto
Direttore Operativo e co-fondatore di Cannabiscienza

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