cbd effetti sul cuore

Cannabis e malattie cardiovascolari: cosa c’è da sapere

L’assunzione di cannabis non costituisce una minaccia significativa per le persone che hanno un rischio cardiovascolare minimo. Tuttavia è importante analizzare con attenzione la letteratura sulla cannabis e malattie cardiovascolari.

Cannabis Smoking and Cardiovascular Health: It’s Complicated (Fumare cannabis e salute cardiovascolare: è complicato).

Il titolo di questa review del 2017, pubblicata su Clinical Pharmacology & Therapeutics, dice tutto sulle problematiche che si incontrano quando si discute di cannabis -sia per uso medico che ricreativo- in relazione ai disturbi cardiovascolari.

Le principali difficoltà che si incontrano sono dovute allo status legale della cannabis: se da un lato in molti Paesi l’utilizzo è stato regolamentato, quantomeno dal punto di vista medico, la cannabis è ancora inserita quasi ovunque tra le sostanze illecite e ciò rende la ricerca, soprattutto clinica, molto complicata. Ci si affida soprattutto a report su casi singoli di persone che fumano cannabis. 

Da qui il secondo problema: è difficile separare gli effetti cardiovascolari della cannabis e dei cannabinoidi dai pericoli dovuti alle sostanze irritanti e cancerogene contenute nel fumo.

In più, gli effetti della stimolazione cannabinoide nel sistema cardiovascolare non sono univoci, ma dipendono molto dallo stato di salute generale dell’organismo.

Tenendo in considerazione queste difficoltà, in questo articolo analizzeremo a che punto è la ricerca scientifica nel campo della Cannabis Medica e le malattie cardiovascolari.

INDICE

1. IL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE NEL SISTEMA CARDIOVASCOLARE

Il Sistema Endocannabinoide ha una distribuzione ubiquitaria in quasi tutto il corpo umano e di conseguenza regola la funzione di molti organi e sistemi. A parte i noti effetti neurocomportamentali e analgesici, i cannabinoidi esercitano un profondo effetto sulla funzione immunitaria, digestiva e riproduttiva e influenzano il destino cellulare (apoptosi), la temperatura corporea, la formazione ossea e altri aspetti della fisiologia umana. [1]

Anche il sistema cardiovascolare -sangue, vasi sanguigni e cuore- è influenzato dalle azioni del Sistema Endocannabinoide.

Parametri cardiovascolari molto importanti sono controllati dai cannabinoidi come:

  • la pressione sanguigna,
  • il controllo vasomotorio,
  • la contrattilità cardiaca,
  • l’infiammazione vascolare
  • l’angiogenesi.

 

Variazioni nei livelli degli endocannabinoidi circolatori e dell’espressione dei recettori dei cannabinoidi nei vasi sangugni, nonché perturbazioni delle vie di segnalazione dei cannabinoidi, sono state rilevate in una serie di condizioni fisiopatologiche tra cui:

 

I fitocannabinoidi e i loro analoghi endogeni e sintetici esercitano quindi complessi effetti cardiovascolari, attraverso meccanismi sia dipendenti dai recettori dei cannabinoidi, sia indipendenti.

2. DISTRIBUZIONE DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE NELL’APPARATO CARDIOCIRCOLATORIO

I recettori CB1 sono stati identificati in diversi distretti vascolari (aorta, arteria mesenterica, ecc..), soprattutto a livello delle cellule endoteliali e muscolari. Ciò implica un ruolo del Sistema Endocannabnoide nella regolazione della funzione vascolare.

L’attivazione dei recettori CB1 -anche attraverso azioni centrali- induce vasodilatazione e quindi un’effetto ipotensivo, anche se in alcuni casi è stata evidenziata un’azione contrattile, enfatizzando così la complessità della farmacologia dei cannabinoidi a livello cardiocircolatorio. [3]

I recettori CB1 si ritrovano anche a livello del cuore, in particolar modo nei cardiomiociti. La stimolazione di questi recettori, in generale, provoca un’effetto inotropo negativo, ovvero diminuisce la forza di contrazione del muscolo cardiaco. [4]

Anche i recettori CB2 sono stati individuati nel miocardio e a livello vascolare, ma la loro funzione non è ancora ben chiarita. (4) I CB2 sono espressi anche dalle cellule immunitarie del sistema cardiovascolare –soprattutto leucociti e macrofagi- e la loro attivazione diminuisce il rilascio dei mediatori dell’infiammazione (citochine, chemiochine, ecc…). [5]

Molto interessante è il fatto che è stata ipotizzata l’esistenza di almeno un altro recettore dei cannabinoidi, non ancora ben identificato, nel sistema cardiovascolare, in base agli studi effettuati sul Cannabidiolo anormale. Questo composto è un regioisomero sintetico del Cannabidiolo (CBD), una molecola con la stessa struttura ma con una disposizione spaziale differente dei suoi atomi. Il Cannabidiolo anormale è inattivo sui recettori CB1 e CB2 ma è in grado ugualmente di abbassare la pressione sanguigna, anche negli animali dove i recettori CB1 e CB2 sono stati eliminati geneticamente (animali knockout). [6]

Inoltre, le risposte vasodilatatrici all’anandamide in esperimenti ex vivo, hanno una farmacologia che non è coerente con le azioni sui recettori cannabinoidi classici. (9) Infine, questi effetti del cannabidiolo anormale e dell’anandamide sono antagonizzati da un farmaco sintetico, chiamato  O-1918, che non è attivo sui recettori CB1 e CB2. [7]

Escludendo i recettori TRPV1 -che pure sono attivati dall’anandamide ed inducano vasodilatazione, ma con un meccanismo diverso- un possibile candidato a ricoprire il ruolo di “terzo recettore cannabinoide” (o di recettore vascolare per l’anandamide) è il GPR55, anche se ci sono ancora considerevoli dubbi a riguardo. [8]

Gli endocannabinoidi, come l’anandamide e il 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) e i loro sistemi di sintesi e degradazione sono presenti sia a livello vascolare che cardiaco, dove esercitano varie funzioni, principalmente:

  • vasodilatazione,
  • diminuzione della pressione vascolare,
  • diminuzione della della contrattilità cardiaca. [2]

 

Analizzando gli studi sugli animali da laboratorio e nell’uomo, gli effetti della stimolazione del Sistema Endocannabinoide sul sistema cardiovascolare (a seconda della via di somministrazione, della durata e della dose) possono quindi includere: bradicardia e/o tachicardia mediata dai recettori CB1,

  • ipotensione;
  • diminuzione della contrattilità cardiaca, che dipende anche dagli effetti sul sistema nervoso centrale;
  • effetti diretti sul miocardio e sul sistema vascolare. [9]

 

Nonostante ciò, il Sistema Endocannabinoide sembra svolgere un ruolo limitato nella regolazione dei parametri cardiovascolari nelle normali condizioni fisiologiche. 

Questo è in linea con la funzione generale del Sistema Endocannabinoide, che è quella di mantenere l’omeostasi, l’equilibrio dell’organismo. Se l’equilibrio non viene perturbato, il Sistema Endocannabinoide non interviene in maniera significativa.

Tuttavia, in varie condizioni patologiche -in cui l’omeostasi dell’organismo è alterata- si assiste ad una iper-attivazione del Sistema Endocannabinoide, che può indurre sia effetti protettivi che dannosi, a seconda del tipo di evento cardiocircolatorio e delle condizioni contingenti.

3. CANNABIS E MALATTIE CARDIOVASCOLARI: EFFETTI AVVERSI E POTENZIALITÀ TERAPEUTICHE DEI CANNABINOIDI

L’attivazione del Sistema Endocannabinoide è stata osservata nell’ipotensione -mediata dai recettori CB1- associata a shock emorragico, settico e cardiaco  e nell’insufficienza cardiaca indotta da doxorubicina. [10] ; [11]

Un aumento dell’attività del Sistema Endocannabinoide può essere un fattore di rischio cardiovascolare in patologie come la sindrome metabolica o il diabete in quanto può causare alterazioni lipidiche plasmatiche, obesità addominale, steatosi epatica e resistenza all’insulina e alla leptina. [12] ; [13]

Tuttavia, il Sistema Endocannabinoide può anche essere attivato come meccanismo compensativo in varie forme di ipertensione, in cui contrasta non solo l’aumento della pressione arteriosa ma anche l’aumento della contrattilità cardiaca, principalmente attraverso l’attivazione dei recettori CB1. [14]

L’attivazione dei recettori CB2 nelle cellule endoteliali e in quelle infiammatorie da parte dei cannabinoidi endogeni o esogeni è in grado di limitare la risposta infiammatoria endoteliale, la chemiotassi (il reclutamento dei mediatori dell’infiammazione in un sito specifico), l’adesione delle cellule infiammatorie all’endotelio e il conseguente rilascio di vari mediatori pro-infiammatori, che sono responsabili dell’inizio e della progressione dei fenomeni aterosclerotici e del danno da ischemia-riperfusione. [15]

Quindi, a seconda delle patologie concomitanti, l’attivazione selettiva dei recettori CB1 o CB2 o la loro inibizione, potrebbe essere in grado di apportare effetti terapeutici benefici.

3.1 IPERTENSIONE

Uno degli effetti principali della stimolazione del Sistema Endocannabinoide è l’ipotensione. Per questo motivo già dagli anni ’70 si è pensato di utilizzare la cannabis come anti-ipertensivo, tuttavia gli effetti psicotropi del tetraidrocannabinolo (THC) ne hanno sempre limitato l’uso.

Nonostante ciò, recenti studi su animali da laboratorio  hanno fatto riemergere il potenziale anti-ipertensivo dei cannabinoidi, soprattutto alla luce del fatto che la diminuzione della pressione è indotta principalmente in animali ipertesi e non in quelli con una pressione sanguigna normale. [14] ; [16]

In questi studi, l’attivazione del Sistema Endocannabinoide sembra essere il risultato di un meccanismo compensatorio dell’aumento di pressione, dovuto più ad una ridotta contrattilità cardiaca, mediata dai recettori CB1, che non ad una diminuzione della resistenza vascolare.

Ciò è stato dimostrato anche attraverso l’inibizione dell’enzima FAAH, responsabile della degradazione dell’anandamide. [17] Prevenire la degradazione dell’anandamide endogena aumenta i livelli cardiaci di anandamide e comporta una riduzione della pressione sanguigna e della contrattilità cardiaca in animali da laboratorio ipertesi, ma non in quelli normotesi.

Quindi, il blocco farmacologico dell’enzima FAAH può rivelarsi un utile approccio terapeutico nei soggetti ipertesi, anche perché in questo modo non vengono indotti gli effetti psicotropi centrali dovuti, nel caso della cannabis, al THC. [14] ; [17]

Infine, uno studio del 2023 ha mostrato che un consumo elevato di cannabis è associato a livelli di pressione sanguigna (pressione sistolica, pressione diastolica e pressione differenziale) inferiori in entrambi i sessi, ma in misura maggiore nelle donne. [18] In questo studio, è stato evidenziato anche un altro dato molto interessante: tra le donne, è stata osservata un’associazione tra il livello di reddito e l’uso di cannabis, con una diminuzione significativamente maggiore della pressione diastolica tra le donne con redditi elevati.

3.2 ATEROSCLEROSI 

L’aterosclerosi è una condizione patologica caratterizzata da alterazioni della parete delle arterie, che perdono la propria elasticità a causa dell’accumulo di varie sostanze, tra cui il calcio, il colesterolo, e materiale fibrotico. I mediatori chiave nell’induzione del fenomeno ateriosclerotico sono:

  • le citochine pro-infiammatorie, come il TNF-alfa,
  • le endotossine batteriche, come il lipopolisaccaride (LPS).

 

Questi mediatori, in concerto con altri fattori, come i radicali dell’ossigeno e dell’ossido nitrico, promuovono la migrazione di cellule muscolari lisce e il deposito di matrice extracellulare nel letto vascolare e ciò induce la formazione di placche ateriosclerotiche. [19]

I report sull’efficacia dei cannabinoidi in questa condizione sono contrastanti, con esperimenti che riportano un aumento della migrazione delle cellule muscolari e altri una diminuzione, a seconda delle condizioni sperimentali, del tipo di endocannabinoide o agonista sintetico e del tipo di cellula utilizzata negli esperimenti. [20]

In un articolo pubblicato nel 2005 dalla rivista Nature, un gruppo di ricercatori svizzeri ha dimostrato che la somministrazione orale di THC attenuava significativamente la progressione dell’aterosclerosi in animali da laboratorio, con un meccanismo mediato dai recettori CB2. [21] Ciò probabilmente a causa di un diminuito rilascio di mediatori infiammatori da parte delle cellule immunitarie presenti a livello vascolare.

Anche in questo caso la stimolazione del Sistema Endocannabinoide potrebbe avere un interessante sviluppo farmacologico, certo non con l’utilizzo del THC -a causa degli effetti centrali- ma utilizzando agonisti selettivi per il CB2. 

Ad esempio, i due agonisti CB2-selettivi JWH133 e HU308 diminuiscono il rilascio di TNF-alfa e di altri fattori pro-aterosclerotici nelle cellule endoteliali derivanti dall’aorta umana. [22]

3.3 DANNO DA ISCHEMIA-RIPERFUSIONE E INFARTO

Quando in un vaso sanguigno si ha un’ostruzione causata da un trombo o da un embolo, viene ridotta o annullata la circolazione e quindi alle cellule arrivano pochi nutrienti e ossigeno e, per questo, le cellule vanno in sofferenza. Si ha allora un’ischemia.

Un attacco di ischemia transitoria può determinare l’angina pectoris, con dolore e senso di costrizione al centro del petto, mentre un attacco di ischemia protratto può sfociare nel quadro dell’infarto.

Durante questi fenomeni ischemici e in caso di infarto, i livelli degli endocannabinoidi sembrano diminuire e l’utilizzo di agonisti cannabinoidi è in grado di ridurre il volume della zona dell’infarto. [23]

Se si riesce a ripristinare in tempo la riperfusione in seguito ad ischemia, quello che succede è che il danno peggiora. Si ha allora il danno da riperfusione, che avviene in quanto, in presenza di un ritorno della circolazione, i tessuti colpiti da ischemia sono riconosciuti dal sistema dell’immunità innata come estranei e si attiva una risposta infiammatoria potentissima con produzione di ingenti quantità di radicali dell’ossigeno e di citochine e ciò provoca un ulteriore danno cellulare. [24]

Il ruolo del Sistema Endocannabinoide nel danno da ischemia-riperfusione è ancora incerto.

Gli endocannabinoidi sono prodotti in eccesso durante varie forme di lesione da riperfusione -come quelle associate a shock emorragico e ad infarto acuto del miocardico- e, secondo alcuni studi, possono contribuire alla diminuzione della funzione cardiovascolare associata a queste patologie. [25]

D’altra parte, varie ricerche mostrano che gli endocannabinoidi sembrano svolgere un ruolo protettivo nell’ischemia miocardica e nel danno da riperfusione, in quanto contribuiscono all’effetto di precondizionamento ischemico indotto dall’LPS, dallo stress da calore o da brevi periodi di ischemia. [25] ; [26]

Il precondizionamento ischemico è quel fenomeno per cui se un vaso viene occluso per un breve periodo prima di un fenomeno ischemico, la conseguente riperfusione risulta essere meno dannosa. [27]

Il probabile meccanismo bioprotettivo dei cannabinoidi in questa condizione sembra essere dovuto all’azione sul recettore CB2, che induce una diminuzione del processo infiammatorio e dell’attivazione delle cellule endoteliali dovuta all’ischemia. [28] Anche se c’è bisogno di ulteriori conferme, controllare la stimolazione endocannabinoide, agendo sul CB2, potrebbe rivelarsi un’utile opzione terapeutica.

4. EFFETTI DEL FUMO DI CANNABIS SUI PARAMETRI CARDIOVASCOLARI

I primi studi sugli effetti della Cannabis in toto sui parametri cardiovascolari risalgono al 1970, quindi agli albori della scoperta del Sistema Endocannabinoide. Già da questi primi lavori è apparso chiaro che gli effetti cardiovascolari provocati dal fumo di cannabis dipendono in gran parte dalla composizione chimica della pianta, in particolare dal contenuto di THC, dalla dose inalata e dal metodo con cui si fuma. [29]

I primi lavori sulla cannabis hanno mostrato una differenza tra l’utilizzo acuto e cronico.

Si è visto che, in acuto, fumare cannabis provoca:

  • broncodilatazione,
  • immediato aumento della frequenza cardiaca (tachicardia) che può durare più di 1 ora,
  • un aumento del flusso sanguigno negli arti (ipertensione). [30] ; [31]

 

Queste risposte non sono state osservate dopo la somministrazione di propranololo, un bloccante beta-adrenergico, indicando che le risposte al fumo di cannabis sono dovute ad un aumento della stimolazione adrenergica, quindi del sistema autonomo simpatico. [32]

Tuttavia, un utilizzo ripetuto nei giorni o nelle settimane porta allo sviluppo di tolleranza agli effetti iniziali e i fumatori sperimentano effetti completamente opposti come bradicardia e ipotensione.

Stesso discorso per il THC da solo: mentre la somministrazione acuta di THC generalmente provoca un aumento della pressione sanguigna e della frequenza cardiaca, la somministrazione ripetuta di THC riduce la pressione sanguigna e la frequenza cardiaca e anche in questo caso gli effetti sembrano dovuti ad un’azione sul sistema adrenergico. [33] ; [34]

Inoltre, già dai primi studi è apparsa chiara una differenza negli effetti tra THC e CBD, sia sulla frequenza cardiaca che su alcune reazioni psicologiche che indirettamente influenzano i parametri cardiovascolari. Infatti, in volontari sani, una dose orale di 30 mg di THC aumentava la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, mentre il CBD (15–60 mg) non ha prodotto alcun effetto quando somministrato da solo e ha notevolmente diminuito l’effetto del THC quando sono stati somministrati i due farmaci insieme. [35]

Il CBD in particolare possiede un’azione ipotensiva che potrebbe essere sfruttata anche a fini terapeutici, infatti la somministrazione acuta di CBD a dosi elevate (600 mg) è in grado di ridurre la pressione sanguigna a riposo e l’aumento della pressione sanguigna provocato da esercizio fisico e stress mentale. [36])

Sebbene siano abbastanza chiare le azioni del THC e del CBD, come sottolineato in precedenza, non è facile stabilire in maniera univoca gli effetti del fumo di cannabis sul sistema cardiovascolare e, in mancanza di studi clinici appropriati, ci si affida ai single case report.

Una summa degli eventi avversi correlati al consumo di cannabis per uso ricreativo -non medico- è stata pubblicata nel 2018 sulla rivista Nature Review Cardiology. [37] Secondo gli autori “l’ultimo decennio ha visto aumentare di quasi dieci volte il contenuto di THC nella marijuana e si è assistito ad una maggiore disponibilità di cannabinoidi sintetici altamente potenti per uso ricreativo. Questi cambiamenti sono stati accompagnati dall’emergere di eventi cardiovascolari avversi gravi, tra cui infarto del miocardio, cardiomiopatia, aritmie, ictus e arresto cardiaco”.

C’è comunque da tener presente che, come sottolineato dagli stessi autori e da altri ricercatori che hanno studiato in maniera globale questi report, l’interpretazione dei dati è complicata dal concomitante utilizzo di altre sostanze come nicotina e alcol e dalla mancanza di dettagli specifici sul tipo di cannabis consumata.

Infine, come evidenziato dal Professor Piano nella sua review Cannabis Smoking and Cardiovascular Health: It’s Complicated, un rapporto del 2017 delle Accademie Nazionali di Scienze, Ingegneria e Medicina degli USA ha concluso che “le prove a disposizione non sono chiare su se e come l’uso di cannabis sia associato ad infarto del miocardio e ad ictus”. [38]

5. CANNABIS E MALATTIE CARDIOVASCOLARI: LE CONCLUSIONI

I cannabinoidi, attraverso meccanismi sia centrali che locali, influenzano parametri cardiovascolari chiave, come:

  • la frequenza cardiaca,
  • la pressione sanguigna,
  • la contrattilità vascolare e cardiaca,
  • l’infiammazione nei distretti cardiovascolari. 

 

La capacità del Sistema Endocannabinoide di influenzare questi parametri cardiovascolari sembra essere minima in condizioni di salute, mentre risulta essere più accentuata in condizioni patologiche.

In caso di patologie o condizioni in cui il sistema cardiocircolatorio risulta essere alterato, gli studi degli ultimi decenni hanno dimostrato che il Sistema Endocannabinoide può svolgere sia un ruolo deleterio, come negli stati patologici associati ad ipotensione eccessiva, sia un ruolo protettivo compensativo, come in alcune forme di ipertensione e condizioni infiammatorie che compromettono la salute cardiovascolare.

L’utilizzo di farmaci che agiscono sul Sistema Endocannabinoide, come gli agonisti selettivi del CB2 in caso di infarto del miocardio, aterosclerosi e danno da ischemia-riperfusione, o i bloccanti dell’enzima FAAH in caso di ipertensione, potrebbe rivelarsi un’utile strategia terapeutica. Tuttavia, i dati in nostro possesso sono ancora preliminari e dovrebbero essere confermati in ulteriori modelli animali e, possibilmente, in studi clinici sull’uomo.

In ogni caso l’utilizzo di cannabis -sia per uso medico che ricreativo- andrebbe sconsigliato o quantomeno attentamente vagliato in persone con malattie cardiache accertate, soprattutto se si utilizza il fumo come via di somministrazione. In caso di patologie cardiache, fumare cannabis aumenta il rischio di dolore toracico e varie ricerche suggeriscono che il rischio di infarto è più elevato nell’ora dopo aver fumato cannabis rispetto a quanto sarebbe normalmente. [39] Ciò è dovuto ai complessi effetti che i cannabinoidi hanno sul sistema cardiovascolare, tra cui:

  • l’innalzamento della frequenza cardiaca,
  • la dilatazione dei vasi sanguigni,
  • il rallentamento della pompa cardiaca.

 

Per lo stesso motivo, sforzi fisici intensi dovrebbero essere evitati immediatamente dopo aver fumato cannabis.

Quindi, secondo la ricerca scientifica, fumare cannabis non costituisce una minaccia significativa per le persone che hanno un rischio cardiovascolare minimo, ma dovrebbe essere evitato da chiunque abbia una storia di malattie cardiache. Ciò tenendo sempre presente i possibili danni intrinseci, al sistema cardiocircolatorio ma non solo, che derivano dalle sostanze irritanti e cancerogene contenute nel fumo, soprattuto se associato alla concomitante combustione del tabacco.

Infine, poiché le problematiche cardiocircolatorie più gravi sono state rilevate nei consumatori di cannabis ad uso ricreativo e sono di solito correlate ad un utilizzo intensivo e prolungato nel tempo, i pazienti in terapia con Cannabis Medica non dovrebbero avere particolari problemi se non hanno patologie cardiocircolatorie concomitanti e dovrebbero monitorare periodicamente i parametri cardiaci, in caso di presenza di alterazioni del sistema cardiovascolare.

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Autore
Fabio Turco
Neurogastrocannabinologo - Chimico Farmaceutico

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