1. IL GLAUCOMA
Il termine glaucoma proviene dal greco gláukōma, derivato da glaukós, ovvero “glauco, ceruleo, celeste”, perché l’occhio colpito appare di un azzurro opaco tendente al grigio. In medicina con questo termine si indicano un gruppo di malattie eterogenee caratterizzate da un aumento della pressione introculare (intra-ocular pression, IOP). L’associazione tra elevata IOP ed insorgenza del glaucoma fu descritta per la prima volta nel 1622 dal medico inglese Richard Banister, che nel suo “Trattato di centotredici malattie degli occhi e delle palpebre” così enunciava: l’occhio diventa più solido e duro di quanto dovrebbe essere in natura.
L’aumento di pressione oculare dipende dall’umor acqueo, un liquido che circola all’interno dell’occhio, che ne assicura il nutrimento e il mantenimento della sua forma rigida. L’umor acqueo circola normalmente nell’occhio tra la parte anteriore del cristallino e la parte posteriore della cornea e defluisce attraverso apposite vie. Se per qualche motivo queste vie si ostruiscono, il deflusso del fluido dalla camera anteriore dell’occhio viene limitato, causando un accumulo di pressione, come avviene per l’acqua dietro una diga. Gli scienziati sospettano che l’aumento della IOP contribuisca al glaucoma diminuendo il flusso di nutrienti al nervo ottico.
I medici distinguono 2 principali tipi di glaucoma: [1]
- ad angolo aperto: spesso asintomatico, è causato da un’alterazione dei sistemi di deflusso dell’umore acqueo che progredisce lentamente, ma inesorabilmente.
- ad angolo chiuso: si manifesta improvvisamente, meno comune del precedente, è caratterizzato da un’ostruzione al deflusso più brusca e severa; può portare a sintomi come dolore oculare intenso, arrossamento oculare, edema corneale, nausea, vomito e visione sfocata.
Dopo la cataratta, il glaucoma è una delle principali cause di cecità nel mondo, colpendo più di 60 milioni di persone nel mondo. In Italia si stima siano colpite più di un milione di persone.
La forma più comune, il glaucoma ad angolo aperto, distrugge le cellule della retina dell’occhio e degrada il nervo ottico. Questi danni costringono il campo visivo, che alla fine scompare, insieme alla vista del paziente. Il glaucoma è una malattia subdola, perché spesso non causa alcun sintomo e ci si accorge della sua presenza quando ha già fatto molti danni. Per questo motivo è consigliata una visita oculistica periodica, specie dopo i 40 anni.
I ricercatori non hanno ancora identificato le cause del glaucoma, ma solo i fattori di rischio. Oltre all’aumento di IOP, altri fattori di rischio sono l’età e l’etnia, in quanto la frequenza del glaucoma aumenta con gli anni ed è più comune tra persone di origine africana e ancor di più tra gli originari dei Caraibi.
Poiché un’elevata IOP è l’unico fattore di rischio significativo per il glaucoma che può essere controllato, la maggior parte dei trattamenti fino ad oggi mirano a ridurla.
2. TRATTAMENTI ANTI-GLAUCOMA
Il primo approccio anti-glaucoma si basa sulla terapia farmacologica, generalmente mediante colliri. [2] I farmaci mirano a ridurre la pressione intraoculare agendo su diverse vie di circolazione dell’umore acqueo, come il reticolo trabecolare, un reticolo formato da tessuto connettivo e cellule. Il fluido scorre attraverso questo tessuto in un piccolo canale ed esce dall’occhio, dove si unisce al flusso sanguigno.
La pilocarpina, un agonista colinergico, contrae il muscolo che controlla la forma del reticolo trabecolare, rendendo più facile il passaggio del fluido; è un farmaco molto efficace ma che, stringendo molto la pupilla, tende a ridurre ulteriormente il campo visivo.
I Beta-bloccanti, come il timololo, interferiscono con la produzione del fluido da parte dell’epitelio ciliare; anch’essi molto efficaci, sono sconsigliati in caso di asma o problemi cardiaci.
Gli agonisti alfa-2, come l’apraclonidina e la brimonidina e gli inibitori dell’anidrasi cabonica, come l’acetazolamide, riducono la quantità di fluido prodotto, ma non sono privi di effetti collaterali. Abbiamo poi gli analoghi della prostaglandina F2A (latanoprost, unoprostone), farmaci abbastanza sicuri che facilitano il passaggio dell’umore acqueo dall’occhio.
Quando i farmaci non riescono efficacemente a ridurre la IOP, si passa alle opzioni chirurgiche. Il canale trabecolare può essere tagliato con un laser, permettendo al fluido di uscire più facilmente. In alternativa, un chirurgo può rimuovere un pezzo della parete dell’occhio e permettere al fluido di defluire sotto la congiuntiva. I medici possono anche inserire minuscoli tubi di drenaggio all’interno dell’occhio, per permettere il drenaggio del fluido verso gli strati esterni dell’occhio. Infine, il laser, il calore o il freddo possono essere usati per distruggere l’epitelio ciliare, che secerne l’umore acqueo. Gli interventi chirurgici non sono comunque privi di complicanze, sebbene siano molto rare; per questo si effettuano quando non ci sono altre alternative.
3. CANNABIS E GLAUCOMA: UNA STORIA DI ATTIVISMO
I primi report sull’utilizzo della cannabis per abbassare la IOP risalgono al 1971. Da allora, la pianta ha raggiunto uno status quasi mitico come farmaco miracoloso per il glaucoma. Inoltre, è grazie al glaucoma (o meglio, alla possibilità di poterlo curare) che nel 1974 la rivoluzione della Cannabis Terapeutica è iniziata.
In quell’anno Robert C. Randall, un uomo di 26 anni con un glaucoma avanzato e mal controllato, osservò che gli aloni intorno alle luci che sperimentava a causa della sua alta IOP scomparivano dopo aver fumato cannabis. Iniziò allora a coltivarla nella sua casa a Washington, ma le sue piante vennero scoperte durante un’incursione della polizia in un appartamento vicino. Quando si trovò davanti alla Corte di Giustizia, egli presentò l’affermazione, allora inedita, che il glaucoma di cui soffriva era alleviato dal fumo di cannabis, un’idea che persino il suo avvocato fece fatica all’inizio ad accettare senza ridacchiare. Le risate durarono comunque poco. Randall infatti si sottopose ad una serie di test presso l’Università di Los Angeles per supportare la sua tesi e, nel 1976, un giudice della Corte Suprema americana stabilì che il signor Randall “fece di necessità virtù […] il male che ha cercato di evitare, la cecità, è maggiore di quello che ha compiuto”. Le accuse contro di lui vennero respinte e Mr. Randall divenne il primo utilizzatore legale di cannabis per motivi medici.
Grazie al suo impegno civile, all’Università del Mississippi vanne avviato il Marijuana Research Project, guidato dal farmacologo Mahmoud A. El Sohly. Questo fu il primo programma statunitense di coltivazione statale di Cannabis Medica, che nella sua storia travagliata ha fornito legalmente Cannabis a 22 pazienti, tra cui lo stesso Randall, fino al 1992, anno in cui fu sostanzialmente dismesso.
Dopo il caso giudiziario, Randall diventò un attivista per la legalizzazione della cannabis per scopi medici e fondò l’Alliance for Cannabis Therapeutics, un’associazione bipartisan molto attiva negli USA. Egli fu una figura chiave anche in un’altra causa, che portò ad una controversa e per molti versi rivoluzionaria sentenza del 1987. La decisione, che fu successivamente ignorata dai funzionari della Drug Enforcement Administration (DEA, l’agenzia anti-droga degli USA), fu scritta dal giudice amministrativo capo dell’agenzia, che scrisse che la cannabis era “una delle sostanze terapeuticamente attive più sicure conosciute dall’uomo“.
4. L’EFFICACIA DELLA CANNABIS E DEI CANNABINOIDI NEL GLAUCOMA
Cannabis e cannabinoidi sono efficaci nel glaucoma per due motivi principali:
- Abbassano la pressione intra-oculare: questo effetto è ottenuto attraverso l’interazione con il recettore CB1, così come dalla modulazione della sintesi di prostanoidi attraverso la via della cicloossigenasi (COX); i recettori CB1 sono ampiamente espressi sia nella retina che nelle strutture oculari anteriori come il reticolo trabecolare, il canale di Schlemm, l’iride, il muscolo del corpo ciliare e l’epitelio pigmentato ciliare; questa distribuzione ubiquitaria suggerisce che più vie possono essere coinvolte nell’effetto di abbassamento della IOP dei cannabinoidi attraverso la regolazione della produzione di umore acqueo e il suo deflusso.
- Esercitano un effetto neuroprotettivo: vari studi hanno dimostrato che i cannabinoidi proteggono le cellule gangliari retiniche (RGC) da vari tipi di danni; tre meccanismi principali sembrano coinvolti negli effetti neuroprotettivi dei cannabinoidi: inibizione del glutammato, dell’endotelina-1 e del rilascio di ossido nitrico.
5. I CANNABINOIDI UTILI NEL GLAUCOMA
Diversi studi clinici hanno mostrato che i cannabinoidi riducono la IOP e rallentano la progressione del glaucoma. Il cannabinoide più studiato e che dà i migliori risultati è senz’altro il tetraidrocannabinolo (THC). Questo è vero se il THC viene somministrati per via orale, endovenosa o per inalazione (somministrazione sistemica), ma non quando è applicato direttamente all’occhio sotto forma di collirio (somministrazione locale). Ciò perché il THC, come la maggior parte dei cannabinoidi, è una molecola liposolubile che non si scioglie facilmente in ambiente acquoso (non-polare). Per ovviare questo problema, si stanno provando nuove formulazioni, come quelle con ciclodestrine che facilitano la solubilizzazione del THC.
La Cannabis inalata o assunta per via orale, il THC e i cannabinoidi sintetici in forma di pillola e le iniezioni endovenose di diversi cannabinoidi naturali hanno tutti dimostrato di ridurre significativamente la IOP, sia nei pazienti con glaucoma che negli adulti sani con IOP normale. Nella maggior parte degli studi, questo effetto dura per tre o quattro ore. La breve durata d’azione e gli effetti collaterali in alcuni casi ne limitano l’utilizzo.
Per ridurre gli effetti collaterali, si può usare THC in combinazione con il cannabidiolo (CBD). Il CBD da solo è anch’esso in grado di ridurre la IOP, ma solo modestamente e comunque induce una certa tossicità oculare. Il cannabigerolo (CBG) è invece in grado di ridurre la IOP e non presenta particolare tossicità. [3]
Anche la palmitoiletanolamina (PEA) somministrata oralmente ha una certa efficacia nel ridurre la IOP e riduce di molto la vasodilatazione intraoculare, senza presentare effetti collaterali. [4])
6. LA TERAPIA “CUCITA” SUL PAZIENTE: LE PAROLE DEL DOTTOR LORENZO CALVI
“Nonostante il gran numero di manoscritti sull’uso dei cannabinoidi nel glaucoma, l’evidenza scientifica complessiva su questo argomento rimane controversa … Oltre alla mancanza di studi controllati randomizzati, dobbiamo anche sottolineare che la maggior parte dei manoscritti citati risalgono agli anni 70 e ai primi anni 80. Questo può rappresentare un’ulteriore limitazione perché i manoscritti di quel periodo presentano spesso problemi di divulgazione dei dati, analisi statistica, omogeneità della popolazione e valutazione della sicurezza. Per queste ragioni, l’evidenza scientifica su questo argomento rimane limitata”. Queste sono le conclusioni di una revisione sistematica della letteratura pubblicata nel 2020. [5]
Non sembra essere d’accordo con queste conclusioni il dottor Lorenzo Calvi, Medico Anestesista, Etnofarmacologo, Visiting Professor presso l’Università di Milano e collaboratore di Cannabiscienza.
“Io nella pratica ho trattato circa 150-160 pazienti col glaucoma e la cosa straordinaria è che potrei dire che al massimo mi vengono in mente 1 o 2 persone per cui non c’è stato nulla da fare, mentre in tutti gli altri abbiamo avuto un risultato eccezionale, al 98% della casistica. Inoltre, la quantità di farmaco (cannabinoide, ndr) utilizzato è irrisoria rispetto alle altre indicazioni della Cannabis. Bastano infatti solo poche gocce e ciò comporta una compliance del paziente ottima, perché non andiamo ad indurre effetti collaterali psicotici”.
Questo è quanto affermato dal dottor Calvi in un recente webinar sull’argomento, precisando però che buoni risultati si possono ottenere solo personalizzando la terapia, che deve essere “cucita” su misura sul paziente:
“la personalizzazione della terapia rappresenta la summa del ragionamento terapeutico applicato sartorialmente nelle dinamiche del quotidiano del singolo paziente” continua il dottor Calvi, “la personalizzazione si traduce nella strategia clinica di approccio del medico in un percorso terapeutico che passo dopo passo deve essere calibrato alle esigenze e all’evoluzione della patologia; il compito del terapeutico è di dirigere e guidare, trasmettendo al paziente come utilizzare al meglio gli strumenti cannabinoidi disponibili”. Il tutto, continua il dottor Calvi, “rispettando il più possibile, nella valorizzazione farmaceutica, il fitocomplesso originale della pianta, la sinergia naturale tra cannabinoidi e terpeni che ci permette di ottenere un farmaco efficace, potente a bassi dosaggi e clinicamente sicuro”.
L’esperienza dell’utilizzo di Cannabis e cannabinoidi nel glaucoma può essere traslata anche ad altre patologie:
“ciò che mi ha fatto aprire gli occhi sulla Cannabis, che prima era vista solo come un modo per divertirsi, è vedere personalmente i risultati della terapia che progrediscono. Quando vedi un paziente che fa cose che non faceva più ti fai delle domande. Dovremmo fare un corso per far vedere ai colleghi qual è la forza dei cannabinoidi e quanto poco andiamo a rischiare con il loro utilizzo. Questo è il vero risveglio, che ti fa venire il bisogno di approfondire queste terapie. Ciò a patto che venga rispettata l’importanza del triangolo galenico: medico, paziente, farmacista. È necessario che ci sia un confronto continuo tra queste tre entità, se uno di questi passaggi viene a mancare, stiamo perdendo qualcosa. La Cannabis soprattutto richiede questo sforzo, questa comunione, che viene ripagata dall’efficacia della terapia”.
7. CANNABIS E GLAUCOMA: LE CONCLUSIONI
“L’effetto ipotensivo nel glaucoma resistente alle terapie convenzionali” è una delle indicazioni ministeriali per l’utilizzo di cannabis e cannabinoidi. Questa indicazione è frutto di decenni di studi, pre-clinici e clinici, che mostrano l’efficacia dei cannabinoidi nel ridurre la IOP e nel tenere sotto controllo la progressione del glaucoma. A questi studi si sommano la miriade di report aneddotici di numerosi pazienti che hanno trovato sollievo dal glaucoma consumando Cannabis.
I problemi principali nell’utilizzo dei cannabinoidi riguardano la loro elevata lipofilia, che non permette facilmente di formularli come colliri. Anche gli effetti collaterali centrali, soprattutto del THC e la breve durata d’azione ne limitano l’utilizzo.
Ciò precisato, la Cannabis Medica e i cannabinoidi rimangono una valida alternativa terapeutica per trattare il glaucoma, anche perché la legge vieta di utilizzarli come prima opzione. La loro efficacia è confermata soprattutto dalla pratica clinica, come riportato dal dottor Lorenzo Calvi, a patto però di personalizzare la terapia, che deve essere “cucita” su misura, rispettando le esigenze di ogni singolo paziente.
REFERENZE
- Harry A Quigley.
Glaucoma.
Lancet. 2011 Apr 16;377(9774):1367-77.[↑] - Robert N Weinreb, Tin Aung, Felipe A Medeiros.
The pathophysiology and treatment of glaucoma: a review.
JAMA. 2014 May 14;311(18):1901-11.[↑] - Colasanti BK, Craig CR, Allara RD.
Intraocular pressure, ocular toxicity and neurotoxicity after administration of cannabinol or cannabigerol.
Exp Eye Res 1984;39:251–9[↑] - Gemma Caterina Maria Rossi, Luigia Scudeller, Chiara Lumini, et al.
Effect of palmitoylethanolamide on inner retinal function in glaucoma: a randomized, single blind, crossover, clinical trial by pattern-electroretinogram.
Scientific Reports volume 10, Article number: 10468 (2020[↑] - Andrea Passani, Chiara Posarelli, Angela Tindara Sframeli, et al.
Cannabinoids in Glaucoma Patients: The Never-Ending Story.
J Clin Med. 2020 Dec 8;9(12):3978[↑]