Cannabis e diabete: evidenze pro e contro

Cannabis e diabete: le evidenze epidemiologiche suggeriscono che il consumo di cannabis eserciti un effetto neutrale o addirittura positivo sul diabete. In questa guida affrontiamo i pro e contro delle terapie con cannabinoidi nei casi di diabete.

Il diabete è una delle malattie più diffuse, sia in Italia che in molti altri Paesi nel mondo.

  • Esperienze aneddotiche riportano che i pazienti diabetici trovino sollievo dalle ulcere causate dalla malattia con applicazioni topiche di estratti di cannabis.
  • Evidenze scientifiche dimostrano che l’ingestione di cannabis porti a prevenire nefropatieneuropatie e retinopatie causate dal diabete; l’utilizzo di Cannabis Medicinale è associato ad una ridotta necessità di insulina, e, in alcuni casi, anche alla sua completa interruzione.
  • Studi sul Sistema Endocannabinoide di pazienti obesi e con il diabete riportano invece che questo sistema risulti iperattivo rispetto a soggetti sani, e che stimolarlo utilizzando cannabis ad alta % di tetraidrocannabinolo (THC) possa portare ad un peggioramento dell’insulino-resistenza e all’aumento del peso.

Rimane quindi una tematica dibattuta e importante da capire: la Cannabis Terapeutica può prevenire lo sviluppo del diabete, o diminuirne i sintomi, possibilmente eliminandoli del tutto? O, invece, ne peggiora il decorso e andrebbero quindi utilizzate strategie farmacologiche differenti?

In questo articolo si riportano gli ultimi aggiornamenti scientifici al riguardo.

INDICE

1. CANNABIS: RENDE PIÙ O MENO PRONI AL DIABETE?

Per rispondere a questa domanda, bisogna considerare la questione nella sua complessità. Sappiamo che il diabete è caratterizzato da iperglicemia (eccesso di glucosio nel sangue) causata nel:

  • Diabete I: da una mancata produzione di insulina (data dalla distruzione autoimmune delle Isole di Langerhans, cellule del pancreas che producono ormoni, come l’insulina)
  • Diabete II: da insulino-resistenza, ovvero da una ridotta sensibilità cellulare all’azione dell’insulina. L’obesità è il principale fattore di rischio per lo sviluppo di insulino-resistenza e del diabete di tipo 2

Inoltre, bisogna considerare che la cannabis è un medicinale composto da vari principi attivi oltre al THC, che funzionano anche in maniera molto differente da questa molecola.

Ne abbiamo parlato meglio nell’articolo: Che cos’è la cannabis terapeutica?

Al momento nella comunità scientifica vi sono due principali maniere in cui viene affrontato l’utilizzo di Cannabis Medica nel diabete. Vediamo quali:

2. LE EVIDENZE CONTRO L’UTILIZZO DI CANNABIS PER IL DIABETE

2.1 AUMENTO DELL’APPETITO

Generalmente i cannabinoidi (come il THC) e gli endocannabinoidi (come l’Anandamide) che attivano i recettori centrali CB1 aumentano l’appetito e causano aumento ponderale negli animali studiati. [1]
Per questo motivo, la Cannabis Medicinale viene utilizzata per aumentare l’appetito e l’introito calorico in pazienti con cachessia o sottoposti a chemioterapie. Tuttavia, questo effetto può creare delle problematiche per chi sta cercando di perdere peso (come i pazienti con Diabete II), in quanto -ricordiamolo- l’obesità aumenta il rischio di insulino-resistenza.

Evidenze scientifiche dimostrano che tale aumento dell’appetito è principalmente correlato a somministrazioni acute e non a dosaggi cronici di cannabis [2], ed avviene tramite l’interazione della cannabis con diverse vie fisiologiche:

  • la stimolazione dei centri della fame omeostatica (bilancio energetico)
  • la stimolazione dei centri della fame edonistica (piacere del cibo)

Alcuni studiosi suppongono che il ruolo omeostatico del Sistema Endocannabinoide permetta di scatenare gli effetti dell’aumento di appetito e peso principalmente negli individui sottopeso. [3] Questa tesi è supportata dagli studi sugli antagonisti dei cannabinoidi che, agendo in maniera opposta al THC sul nostro corpo, inducono effetti anoressizzanti. [4]

La cannabis, inoltre, abbassa i livelli di glucosio nel sangue, un effetto che può causare debolezza e vertigini in consumatori inesperti che utilizzano un dosaggio troppo elevato e che può causare attacchi ipoglicemici in pazienti che consumano insulina. Una volta che la concentrazione di glucosio nel sangue è bassa, anche questo sinergizza con gli effetti degli endocannabinoidi, portando ad un aumento dell’appetito.

Per informazioni più dettagliate sui meccanismi del Sistema Endocannabinoide nel regolare l’appetito ti invitiamo a leggere l’articolo: Il Sistema Endocannabinoide nel tratto Gastrointestinale

2.2 IPERATTIVAZIONE DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE

Studi scientifici hanno mostrato che l’iperattivazione dei recettori CB1 alla periferia del corpo viene osservata in soggetti obesi ed è correlata a lipogenesi, (processo che determina l’accumulo di grasso), steatosi epatica (accumulo di trigliceridi nel fegato) ed insulino-resistenza, -tutti marker importanti nello sviluppo della sindrome metabolica-. [5] ; [6] ; [7]

La stimolazione dei recettori CB1 può incrementare l’infiammazione associata alle patologie metaboliche come il diabete e contribuisce all’insorgere di obesità indotta da scorretta alimentazione, come evidenziato da studi sulla popolazione umana obesa, che indicano un’iperattivazione del Sistema Endocannabinoide periferico; pertanto, si sottolinea che in condizioni come l’obesità, è importante inibire i recettori periferici CB1.

Queste considerazioni sono state evidenziate grazie alla molecola SR141716 o Rimonabant, un antagonista selettivo dei recettori CB1, che ha confermato il ruolo del blocco dei recettori CB1 nella diminuzione del peso corporeo e dell’appetito.
Nei primi anni 2000, il Rimonabant è stato apprezzato per la sua efficacia nel ridurre il giro-vita e diminuire i fattori di rischio in pazienti obesi ad alto-rischio. [8] Il Rimonabant ha dimostrato risultati promettenti in un primo trial clinico (Rimonabant In Obesity/Overweight o RIO), inducendo perdita del peso e miglioramenti in molti fattori di rischio metabolici (minore circonferenza del giro vita, aumento di colesterolo “buono” e diminuzione dei livelli di trigliceridi). [9] ; [10]

Al RIO seguì un altro trial, il CRESCENDO trial, che testava il Rimonabant per la prevenzione di eventi cardiovascolari; fu però un trial che venne terminato di colpo perché il farmaco, bloccando i recettori CB1 anche centralmente (e non solo alla periferia del corpo) creava effetti collaterali neuropsichiatrici (depressione e ideazione di suicidio), crisi convulsive, quattro casi di sclerosi multipla e vari disordini cognitivi e motori. Il farmaco venne bocciato a pieni voti dalla Food and Drug Administration (FDA) nel 2007.  [11]

Questa molecola, ora ritirata dal mercato e utilizzata esclusivamente per la ricerca biomedica, ha dunque evidenziato l’importanza fondamentale di utilizzare farmaci che possano legare esclusivamente i recettori CB1 periferici. Il blocco centrale, come tristemente rappresentato dalla casistica che ha portato al ritiro del medicinale, può portare ad una ampia serie di effetti collaterali non secondari. [12] ; [13]

The American Journal of Pathology 2012 180, 432-442  

Abbiamo approfondito l’argomento su recettori CB1 centrali e periferici con il dr Livio Luongo nel: CORSO: SISTEMA ENDOCANNABINOIDE


Ad oggi, il fatto che un’altra molecola che agisce sui recettori cannabinoidi periferici, ovvero il cannabidiolo (CBD), risulti positiva per ridurre il peso e migliorare i fattori di rischio metabolici in un modello animale di obesità, getta nuova luce sul fatto che modulare il Sistema Endocannabinoide possa tornare ad essere un’opzione praticabile per affrontare l’obesità. [14]

3. CANNABIS E DIABETE: LE EVIDENZE A FAVORE DELL’UTILIZZO DEI CANNABINOIDI

3.1 MINORE INCIDENZA DI DIABETE E PESO CORPOREO SANO

Vari studi epidemiologici, osservando ampi gruppi di popolazione, hanno analizzato la possibile correlazione tra l’utilizzo di cannabis e l’incidenza del diabete. Dai risultati questi studi, sembrerebbe che chi utilizza cannabis abbia meno rischi di sviluppare diabete.
Osservando ampi numeri di partecipanti, infatti, si evince che nonostante un regolare consumo cronico di cannabis sia associato ad un aumento dell’assorbimento calorico, l’indice di massa corporea non cambi [15] o risulti addirittura ridotto negli utilizzatori di Cannabis [16] , dato che potrebbe essere correlato ad un ruolo inesplorato di altri cannabinoidi presenti nella Cannabis Medica che non interagiscono con i recettori CB1.

I risultati riportati dai ricercatori della University of California, Los Angeles, hanno dimostrato che tra 10,896 adulti Americani, nonostante tutti possedessero una storia familiare simile di diabete, gli attuali o passati consumatori di cannabis dimostravano una diffusione minore dell’obesità, anche aggiustando le variabili sociali (gruppi etnici, livelli di attività fisica, età etc). [17]

Gli autori dello studio hanno concluso in questo modo:

“Le nostre analisi dei dati NHANES (National Health And Nutrition Examination Survey) raccolti tra il 2005 e il 2010 dimostrano che i partecipanti che utilizzano Cannabis hanno una prevalenza di Diabete Mellito inferiore e minori probabilità di sviluppare questa patologia rispetto ai partecipanti che non la consumano” [17]

Gli studi statunitensi hanno trovato che l’utilizzo di cannabis è associato positivamente ad un indice di massa corporea più basso, una più piccola misura del giro-vita e superiori livelli di Colesterolo HDL, il cosiddetto “colesterolo buono”.

Similmente, studi osservazionali precedenti hanno scoperto che la diffusione dell’obesità nella popolazione generale è nettamente inferiore tra i consumatori di cannabis rispetto ai non utilizzatori, e che, come confermato dai dati dell’Harvard Medical School, il giro-vita degli utilizzatori di cannabis è più sottile rispetto ai non utilizzatori. [15] ; [16] ; [17]

Queste affermazioni e i dati pre-clinici sembrano contraddire l’associazione canonica della cannabis con un aumento dell’appetito e quindi un maggiore introito calorico. Recenti ricerche sottolineano che “la fame chimica” è però scatenata dall’assunzione occasionale piuttosto che da quella cronica. La cannabis, infatti, altera gli ormoni che regolano l’appetito (come la grelina) a livello epatico e a livello del tessuto adiposo, provocando un ampio spettro di effetti su glicemia e insulinemia.

Sappiamo inoltre che la cannabis agisce sui recettori CB1 e CB2 nel cervello, aumentando l’attività dell’adiponectina. Questo ormone aiuta a regolare lo zucchero nel sangue e controlla il peso corporeo, riducendo la tendenza verso il diabete.

Nonostante gli effetti stimolanti l’appetito generati da una bassa glicemia e un’interferenza diretta sulla segnaletica leptina-grelina, la cannabis è una pianta che svolge un ruolo importante sul peso corporeo e sul tessuto adiposo, plausibilmente proteggendo contro l’insorgenza del diabete. [3]

Nel Luglio del 2015, i ricercatori della Michigan State University hanno analizzato otto studi e trovato che il rischio di contrarre diabete nei consumatori di cannabis è del 30% più basso rispetto ai non-consumatori. [18]

 

3.2 INSULINA E GLUCOSIO CIRCOLANTI PIÙ BASSI

Due trials indipendenti svolti presso l’Harvard Medical School e il Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston, hanno esaminato le conseguenze del consumo di cannabis sui livelli di insulina a digiuno e resistenza al glucosio e all’insulina, in un largo campione di popolazione maschile e femminile adulta (4.657 partecipanti). [17]

Alti livelli di insulina a digiuno sono considerati un’evidenza di insensibilità all’insulina – ovvero l’incapacità del corpo di rispondere in maniera appropriata all’insulina, considerato un vero e proprio fattore di rischio per il pre-diabete.
Tra i partecipanti allo studio, gli utilizzatori di cannabis avevano livelli di insulina e glucosio circolante a digiuno il 16% più bassi rispetto ai non utilizzatori, e livelli di resistenza all’insulina inferiori del 17%.

Tali associazioni sono attenuate tra coloro che riportano di aver utilizzato la cannabis almeno una volta, ma non nei trenta giorni precedenti allo studio, suggerendo che l’impatto del consumo di cannabis sull’insulina e la resistenza all’insulina esistano principalmente durante periodi di utilizzo recente.

 

3.3 EFFETTI DELLA CANNABIS SUL PANCREAS

Somministrando estratti resinosi di Cannabis Medicinale a ratti obesi, si verifica una riduzione del peso corporeo e un aumento del peso pancreatico, un’azione che implica un effetto protettivo sulle cellule β del pancreas, cellule addette alla produzione di insulina. [19] Anche se la cannabis contenente THC, nei giusti dosaggi, dimostra effetti anti-obesità eccellenti, le sue caratteristiche psicoattive limitano l’utilità terapeutica di questa molecola. [20] ; [21]

Cruciali sono quindi stati gli studi che hanno dimostrato come il CBD, il principale componente non psicoattivo della Cannabis, eserciti effetti benefici poiché questa molecola è sicura e priva di effetti collaterali anche in dosaggi alti. Studi condotti su topi con Diabete di tipo 1 (diabete con insorgenza in giovane età), hanno dimostrato come un trattamento a base di CBD diminuisca i mediatori infiammatori (come la citochina IL-12) nelle isole pancreatiche (come la cito china IL-12), e che ciò sia associato a migliori livelli di insulina e glucosio nel sangue. [22]

Gli effetti protettivi del CBD sono indotti da modificazioni qualitative delle isole pancreatiche (Isole di Langerhans), inibendo la distruzione specializzata delle isole, prevenendo la futura degenerazione delle cellule deputate al rilascio di insulina. [14]

Anche il tetraidrocannabinolo acido (THCA) sembrerebbe avere un ruolo prototettivo contro l’obesità e, di conseguenza, contro il diabete.

3.4 SOTTOREGOLAZIONE DEL SISTEMA ENDOCANNABINOIDE

Altre ricerche hanno evidenziato che nella popolazione obesa si osservano recettori CB2 meno funzionanti e sembrerebbe che cannabinoidi come la tetraidrocannabivarina (THCV) in grado di attivarli, possano annullare gli effetti infiammatori correlati con l’obesità, proteggendo dall’insorgenza di diabete. [4]
Dapprima uno studio nei roditori ha mostrato che l’attivazione endogena dei recettori CB2, tramite l’endocannabinoide 2-arachidonoilglicerolo (2-AG), sia significativamente più bassa nel topo diabetico, suggerendo un ruolo della disfunzione del CB2 nella sindrome metabolica. [4]

Successivamente, questi dati sono stati successivamente confermati da una pubblicazione molto recente di un docente di Cannabiscienza che ha osservato 501 bambini obesi in Italia e ha trovato una minore funzionalità dei recettori CB2. I bambini trattati con agonisti selettivi del CB2 (farmaci che attivano questi recettori) hanno mostrato un’inversione dello stato infiammatorio dovuto all’obesità. [23]

 

3.4.1 Il CBD e il Diabete: evidenze di prevenzione della patologia

Uno studio del 2006 pubblicato sul Journal of Autoimmunity, ha riportato che iniezioni quotidiane di 5 mg/kg di CBD riducono significativamente l’incidenza di diabete ereditario (Tipo 1) nei topi. I ricercatori hanno evidenziato che in una popolazione di topi geneticamente diabetici (NOD, ovvero “diabete non obeso”) l’86% di roditori non trattati (il gruppo di controllo) ha sviluppato la patologia. In contrasto, solo il 30% dei topi trattati con il CBD ha sviluppato il diabete. [14]
Non solo l’incidenza del diabete era più bassa somministrando CBD, ma in generale, l’inizio della patologia è avvenuto in maniera marcatamente più lenta, come confermato anche da uno studio indipendente.
I risultati hanno evidenziato anche miglioramenti delle manifestazioni della malattia, che nei topi trattati con CBD rimaneva in uno stadio latente del diabete o con solo alcuni sintomi iniziali  [22] ; [14]

Inoltre, gli scienziati hanno riscontrato che in un modello di dieta ad alto contenuto di grassi, utilizzata per indurre il diabete di Tipo 2, tutti i topi di controllo hanno sviluppato il diabete in una media di 17 settimane, mentre la maggior parte dei topi trattati con il CBD è rimasta libera dal diabete fino alla 26esima settimana. [24] ; [25]

 

3.4.2 Tetraidrocannabivarina (THCV) per trattare il diabete

La THCV è un cannabinoide minore presente nella pianta di Cannabis. Questa molecola sta acquisendo sempre più importanza e si è dimostrato che agisce come antagonista del recettore CB1attivando contemporaneamente i recettori CB2. [26]

Questa sua duplice attività di antagonista CB1 e agonista CB2 è molto importante per  la regolazione metabolica, diminuendo l’appetito tramite il blocco di CB1 e diminuendo infiammazione e stress ossidativo tramite attivazione di CB2. 

Sappiamo che a dosi di soli 3 mg/kg di THCV questa sostanza, così come altre molecole antagoniste dei recettori CB1, riduce sia l’assunzione di cibo, sia il peso corporeo in topi a digiuno e non. La THCV è una molecola considerata “ipofagica”. [26]

In uno studio del 2013 si è analizzato l’effetto della THCV -facente parte della classe dei cannabinoidi divarinici- su topi obesi, evidenziando come la somministrazione di questo cannabinoide produca effetti benefici metabolici relativi al diabete, inclusa una riduzione dell’intolleranza al glucosio, aumento della spesa energetica, livelli di trigliceridi epatici migliorati e una migliore sensitività all’insulina. Gli autori hanno concluso così:

“Basandoci su questi dati possiamo suggerire che il THCV possa essere un utile trattamento per la sindrome metabolica ed il diabete di tipo 2, sia come trattamento unico che in congiunzione con terapie pre-esistenti.” [27]

Nel 2016, 62 pazienti diabetici che non utilizzano insulina sono stati arruolati per un trial in doppio cieco che andava proprio a verificare gli effetti del CBD e del THCV. I risultati hanno confermato l’utilizzo del THCV come trattamento di prima linea per il controllo glicemico. [28]

 

3.4.3 Tetraidrocannabinolo Acido (THCA) per trattare il diabete

Nel gennaio 2020 è stato pubblicato sul giornale scientifico Biochemical Pharmacology, uno studio spagnolo a cui hanno collaborato anche ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale, che analizzava le proprietà dell’Acido Tetraidrocannabinolo (THCA). [29] Questo composto è il precursore nativo del THC che, non essendo decarbossilato, non induce effetti psicotropi. (per maggiori informazioni vedi articolo sulle Caratteristiche fitochimiche della Cannabis Sativa).
In questo studio è stato visto che in un modello di obesità indotta da dieta grassa in animali da laboratorio, il THCA ha ridotto significativamente la massa grassa e l’aumento di peso corporeo degli animali, migliorando sensibilmente l’intolleranza al glucosio e la resistenza all’insulina e prevenendo in gran parte la steatosi epatica, l’adipogenesi e l’infiltrazione dei macrofagi nei tessuti adiposi. [29]
Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato anche il meccanismo d’azione di questo fitocannabinoide. Il THCA si è rivelato essere un modulatore parziale e selettivo dei recettori PPARγ, dotato di un’attività adipogenica (che stimola la produzione di grasso) inferiore rispetto all’agonista PPARγ completo rosiglitazone, un principio attivo antidiabetico. [29]
Poiché il THCA è costitutivamente presente nella pianta e solo successivamente viene trasformato in THC dall’azione del calore, si potrebbe ipotizzare che anche la cannabis cruda possa essere efficace nel trattare il diabete.

4. CANNABIS E DIABETE: I SINTOMI TRATTABILI CON I CANNABINOIDI

Vi è un corpo di evidenze robuste ad indicare che i cannabinoidi sono in grado di modificare il metabolismo energetico e la progressione del diabete, al contempo provvedendo sollievo da alcuni sintomi di chi ne soffre.

La maggior parte delle complicazioni diabetiche sono associate ad alterazioni patologiche nella vascolarizzazione; la complicazione macrovascolare più comune è l’arterosclerosi, che aumenta i rischi per infarto e malattie periferiche delle arterie, mentre tra le complicazioni microvascolari si presentano principalemente in nefropatie (problemi legati ai reni), retinopatia (agli occhi) e neuropatie periferiche (dolore). Le complicazioni del diabete hanno un impatto fisico, emotivo ed economico tremendo, ed è una delle cause principali per insufficienza renale, amputazioni agli arti inferiori non dovute a traumi, e nuovi casi di cecità tra la popolazione adulta.

 

4.1 CARDIOMIOPATIA

L’attivazione del sistema cannabinoide protegge contro l’attivazione della cascata pro-infiammatoria detta ROS-MAPK, che gioca un ruolo chiave nello sviluppo della disfunzione cardiovascolare conseguente al diabete. [30] ; [31]
Recentemente, ricercatori di Stati Uniti, Svizzera ed Israele hanno riportato nel Journal of the American College of Cardiology che la somministrazione del CBD riduce i vari sintomi della cardiomiopatia diabetica in un modello murino di diabete tipo 1.

Gli autori hanno così concluso:

“Questi risultati, alla luce della eccellente sicurezza e del profilo di tollerabilità del CBD negli esseri umani, suggeriscono con forza che il CBD potrebbe avere grande potenziale terapeutico nel trattamento delle complicazioni del diabete.ʺ [32]

 

4.2 CECITÀ

Nel marzo del 2006 sull’ American Journal of Pathology, i ricercatori del Medical College of Virginia hanno riportato che i ratti trattati con CBD per periodi da 1 a 4 settimane, dimostravano una significativa protezione dalla retinopatia diabetica, una delle principale cause di cecità negli adulti in età lavorativa. [33]

Gli effetti benefici della terapia con CBD sulle complicanze del diabete come la retinopatia, sono stati verificati da altri autori che hanno provato che il CBD riduce significativamente lo stress ossidativo e previene la morte delle cellule retiniche e la iper-permeabilità vascolare in modelli di retinopatia diabetica. [24] ; [25]

Inoltre il CBD esercita effetti antinfiammatori e neuroprotettivi nelle cellule microgliali nella retina. [34] Per i lettori interessati, il meccanismo ipotizzato con cui il CBD esercita un effetto protettivo sul danno retinico potrebbe essere legato all’inibizione della ricaptazione dell’adenosina. [35]

 

4.3 NEFROPATIA

Il CBD migliora i problemi renali in pazienti con avanzata nefropatia diabetica; questi effetti sono probabilmente riscontrabili anche con altri attivatori non psicotropi del CB2, come il THCV e il β-Cariofillene (terpene e primo cannabinoide alimentare scoperto). [36]

 

5. CANNABIS E DIABETE: LE CONCLUSIONI

Le evidenze epidemiologiche suggeriscono che il consumo di cannabis eserciti un effetto neutrale o addirittura positivo sul diabete.
Un piccolo numero di trial clinici su pazienti evidenziano effetti benefici di alcuni cannabinoidi per controllare glicemia, dolore e altri sintomi associati al diabete.

Basandosi sulla ricerca pre-clinica attuale, vi è speranza per l’introduzione nella pratica terapeutica del CBD, del THCV e del THCA, di altri agenti bloccanti dei recettori CB1 periferici, di agenti agonisti (attivatori) dei recettori CB2 e probabilmente anche di agonisti dei recettori GPR55 e GPR119.
Anche se è evidente la necessità di più studi in questo settore per poter trarre delle conclusioni nette, è comunque chiaro che questa potrebbe risultare come una nuova e interessante area di utilizzo della Cannabis Medica.

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Autore
Viola Brugnatelli
Direttrice scientifica di Cannabiscienza e ricercatrice in neuroscienze presso l’Università degli Studi di Padova

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