DOTTORESSA BOTTI, COME SI È AVVICINATA AL MONDO DELLA CANNABIS?
Mi sono avvicinata a questo mondo nel 2017, grazie a due amici, Alberto Ziveri e Beatrice Corazza, fondatori di “Opera Campi”. Si tratta di un marchio Made in Italy di indumenti in fibra di canapa che è sia ecosostenibile, per la produzione a filiera corta che avviene su ordinazione, che innovativo, in quanto possiede il brevetto di tessuti come l’”Herotex” e la “Lanapa”. Nutro grande ammirazione nei loro confronti. [1]
HA AVUTO MODO DI AMPLIARE LE SUE CONOSCENZE SULLA CANNABIS DURANTE IL PERCORSO UNIVERSITARIO?
Purtroppo, durante il corso universitario di Chimica Farmaceutica 1, i cannabinoidi sono stati trattati solo superficialmente. Successivamente, facendo una ricerca su internet, per mio personale interesse, ho scoperto la realtà di Cannabiscienza che mi ha permesso di approfondire le proprietà della pianta e studiare la fisiologia del Sistema Endocannabinoide.
QUALI CORSI O MASTER HA SEGUITO CON NOI DI CANNABISCIENZA?
Ho seguito il corso “Sistema Endocannabinoide”, tenuto dai professori Viola Brugnatelli e Livio Luongo. Ho trovato il corso molto utile per la ricchezza di contenuti e la chiarezza nell’affrontarli e smart per l’organizzazione delle lezioni in video.
Inoltre, al termine di ogni video è possibile consultare articoli di approfondimento ed eseguire mini-test per verificare l’apprendimento dei temi affrontati. Credo che, inconsapevolmente, sia stato determinante per la scelta dell’argomento della mia tesi che è stato appunto “Cannabis e cannabinoidi come supporto terapeutico nel trattamento del dolore”.
COME MAI PER LA SUA TESI HA SCELTO DI TRATTARE IL DOLORE?
La scelta di indirizzare il discorso in relazione al dolore è dovuta al fatto che quest’ultimo rappresenta la manifestazione più importante della maggior parte delle patologie, in grado di minare la qualità di vita, comportando spiacevoli conseguenze fisiche, psicologiche e socio-economiche.
In generale, si parla di dolore quando si considera l’esperienza globale, risultante dalla somma dei segnali provenienti dal tessuto danneggiato e dei fattori psicologici che li modulano a livello dei centri cerebrali superiori. Al contrario, si parla di nocicezione per descrivere tutti i processi di trasduzione bioelettrica a livello dei nocicettori e di tutti gli eventi nervosi di conduzione dei segnali dalla periferia ai centri superiori.
Il dolore può essere classificato come nocicettivo (acuto, evocato dalla stimolazione dei nocicettori dei terminali sensoriali), neuropatico (cronico, provocato da disfunzioni a diversi livelli delle vie nervose del Sistema Nervoso Centrale o Periferico), o idiopatico (non riconducibile a cause evidenti). In tutte queste tipologie di dolore, il Sistema Endocannabinoide ha dimostrato svolgere un ruolo rilevante. [2] [3] [4] [5]
PERCHÉ SECONDO LA SUA OPINIONE LA CANNABIS È UTILE NEL DOLORE?
Quando si manifesta il dolore, avviene il rilascio di endocannabinoidi, la cui funzione è: ridurre la produzione di attivatori e sensibilizzatori dal tessuto ferito; stabilizzare le cellule nervose per evitare che queste scarichino a frequenze eccessivamente alte; inibire le cellule immunitarie per impedire il rilascio di mediatori proinfiammatori e coinvolgere quelli antinfiammatori.
Sono tre diverse azioni che hanno come esito finale la riduzione del dolore e per questo penso che la cannabis, stimolando il Sistema Endocannabinoide, possa essere utile nel dolore. [6] [7] [8]
QUAL È STATO L’OBIETTIVO DELLA SUA TESI?
Volevo trattare un argomento che mi appassionasse, che fosse attuale ma non scontato e sul quale ci fosse ancora tanto da indagare e così è stato, ne sono felice.
Il mio focus è stato quello di descrivere e sottolineare l’importanza del Sistema Endocannabinoide come sistema fisiologico presente in tutti gli animali e presentarlo come oggetto di ricerca nello sviluppo di farmaci analgesici.
A sostegno della sua importanza, c’è questa frase, che mi ha particolarmente colpito della professoressa Brugnatelli, la quale dice ” il latte materno contiene diversi componenti tra cui il cannabinoide 2-arachidonoilglicerolo. Sappiamo che l’interazione tra questo cannabinoide e il recettore CB1, presente sulla lingua del neonato, porta alla stimolazione della poppata, garantendo l’appetito al neonato, quindi la sopravvivenza, la vita”.
Come oggetto di ricerca, invece, sono molteplici i bersagli su cui agire e sui quali c’è ancora molto da scoprire nel meccanismo d’azione, mi riferisco in particolare alla co-localizzazione dei recettori cannabinoidi ed oppioidi. L’epidemia da oppioidi che affligge Europa e USA derivante dall’abuso di tali analgesici negli ultimi anni ha facilitato l’avvio di studi clinici al fine di dimostrare l’utilità dell’uso combinato di oppioidi e cannabis. Questo ha portato alla riduzione del dosaggio di oppioidi, diminuzione delle visite al pronto soccorso e di ricoveri ospedalieri. [9] [10] [11] [12] [13]
QUALI SONO I RISULTATI OTTENUTI?
La mia è una tesi compilativa per questo è il frutto di un’attenta analisi della letteratura. Dagli articoli analizzati, appare chiaro che i cannabinoidi modulano la percezione dolorifica. Fisiologicamente, lo stimolo nocicettivo favorisce il rilascio di endocannabinoidi che per attivazione dei recettori cannabinoidi CB1 e CB2 attenuano dolore ed infiammazione.
L’attivazione dei CB1 a livello sopraspinale inibisce la trasmissione dolorifica, mentre, a livello periferico impedisce il rilascio di sensibilizzatori nel sito di danno. L’attivazione dei CB2, espressi sulle cellule immunitarie, stimola la produzione di mediatori antinfiammatori. [6] [7] [8]
Le cellule della microglia, presenti nel Sistema nervoso Centrale (SNC), nel fenotipo infiammatorio M1 (Microglia pro-infiammatory pheotype) sono quelle maggiormente coinvolte nel dolore neuropatico. Gli endocannabinoidi, attivando i CB2 sulla loro superfice, ne favoriscono la conversione nel fenotipo antinfiammatorio M2 (Microglia anti-infiammatory pheotype), con rilascio di citochine antinfiammatorie. [14] [15] [16] [17] [18] [19] [20]
A contribuire all’effetto analgesico ed antinfiammatorio dei cannabinoidi vi è un analogo saturo dell’anandamide, la N-palmitoiletanolamide (PEA), che, attraverso l’attivazione dei recettori PPARα, aumenta l’espressione dei CB2 sulla microglia, inibisce la sintesi di mediatori infiammatori e dell’enzima FAAH (deputato alla degradazione dell’endocannabinoide Anandamide, ndr), aumentando la concentrazione endogena degli endocannabinoidi. [21] [22] [23] [24] [25] [26]
Inoltre, la co-localizzazione dei recettori cannabinoidi ed oppioidi e l’apparente cooperazione dei due sistemi nel controllo del dolore, ha indotto a valutare se la co-somministrazione di THC potesse potenziare l’effetto analgesico di diversi oppioidi, in modelli sperimentali di nocicezione nei roditori. È stato osservato che l’associazione di dosi sub-terapeutiche di THC con morfina e morfino-simili ne ha nettamente potenziato l’effetto analgesico, che è stato raggiunto con dosi da 2 a 25 volte inferiori rispetto a quelle necessarie con il solo oppioide, a seconda degli studi analizzati. [4] [10] [11] [12] [26] [27] [28] [29]
A CHE CONCLUSIONI È GIUNTO IL SUO STUDIO?
La stimolazione dei recettori CB1 presenti nel SNC determina non solo analgesia ma anche effetti indesiderati, come psicosi e dipendenza psicologica, nonché a fenomeni di tolleranza analgesica. L’uso di inibitori enzimatici del metabolismo dei cannabinoidi, ha aumentato il tono endogeno degli endocannabinoidi per prolungarne la durata d’azione, evitando una svantaggiosa sovra-stimolazione recettoriale che aumenta gli effetti collaterali..
Per evitare un’ulteriore problematica, la tolleranza analgesica, si sono impiegati agonisti selettivi per il CB2 per favorire lo switch fenotipico delle microglia.
Per reprimere la trasmissione dolorifica si sono utilizzati farmaci che agiscono sui recettori non tipici del Sistema Endocannabinoide, come gli antagonisti TRPV1 e GPR55 e composti ad azione multipla, come la doppia inibizione di FAAH e TRPV1 e per stimolare la chemiotassi immunitaria l’uso di agonisti GPR18.
Attualmente, l’approccio migliore è rappresentato dai modulatori allosterici positivi (PAM) dei recettori CB1, attualmente testati in fase clinica. Migliorano l’affinità di legame ligando-recettore e, associati agli oppioidi, ne riducono il dosaggio, senza manifestare effetti indesiderati come tolleranza, psicosi, sedazione ed ipotermia. [4] [6] [9] [12] [13] [30] [26] [31] [32] [33] [34]
COSA SI SENTIREBBE DI CONSIGLIARE AD UN SUO COLLEGA NEOLAUREATO CHE SI AVVICINA AL MONDO DELLA CANNABIS?
Di non farsi influenzare da chi considera la cannabis solo come “pianta stupefacente” ma di informarsi attraverso piattaforme scientifiche, come appunto Cannabiscienza.
DOTTORESSA BOTTI, LA RINGRAZIO PER LA SUA DISPONIBILITÀ. VUOLE AGGIUNGERE QUALCOSA PER SALUTARE I NOSTRI LETTORI?
In relazione alla tesi, penso e spero che sulla base di queste promettenti conoscenze, la ricerca scientifica potrà svelare i meccanismi che stanno alla base delle interazioni cannabinoidi-oppioidi, portando alla formulazione di approcci terapeutici efficaci per ridurre gli enormi costi della terapia del dolore e per migliorare la qualità della vita di ogni paziente.
Per quanto riguarda gli studenti, mi auguro che in futuro in tutte le università d’Italia si possano organizzare corsi di Cannabinologia come all’università di Padova.
Infine, per quanto riguarda me, spero un giorno di poter ricoprire un incarico che mi consenta di coniugare la mia passione per i cannabinoidi a quella della cosmetica.
REFERENZE
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